Le Lancia non hanno mercato.
In una delle tante discussioni fra amici e conoscenti appassionati di youngtimers ed auto d’epoca in genere, è spesso sbucata fuori la questione, generalmente condivisa, del precoce invecchiamento delle Fiat.
Pensateci un attimo. A parte la 500 originale, che praticamente non ha mai conosciuto una vera e propria fase di oblio, e altri due – tre modelli invecchiati relativamente bene (casualmente tutti disegnati da Giugiaro), le Fiat condividevano lo stesso tragico destino: moderne ed apprezzate al momento della presentazione, obsolete – e bisognose di restyling “rinfrescante” dopo pochi anni.
Questa condanna ha afflitto anche modelli riusciti: la 127, praticamente coeva della Renault 5, ebbe bisogno di importanti rivistazioni per trascinarsi fino alla metà degli anni ottanta, lasso di tempo in cui la concorrente transalpina arrivò al capolinea praticamente immutata.
La 128, ottima macchina, aveva una linea “volutamente tradizionale” per non spaventare la clientela, vista la novità della trazione anteriore. Col risultato che, pochi anni dopo, risultava antiquata rispetto alla Golf che pur venne concepita imitandone spudoratamente i segreti costruttivi.
Così la 126, sostanzialmente antidiluviana rispetto all’epoca, e le fin troppo conservatrici 124, 125, 131, 132 ed Argenta, che avevano un’immagine da vettura solida ed affidabile, ma disegnate senza nessuna concessione agli studi aerodinamici.
E poi c’era lei, la Ritmo. L’auto su cui la Fiat, nel 1978, puntò tutto, tanto da rivoluzionare il processo produttivo, affidato in cospicua parte ai robot.
La Ritmo le tentava tutte per negare la derivazione dalla 128 che andava a sostituire. Ogni componente era stato ridisegnato, spesso ricorrendo ad un modernismo esasperato (come dimenticare gli interruttori a botticella, lo specchietto retrovisore trapezoidale, i cerchi dal disegno “tormentato”, la plancia minimalista, i pannelli porta in un solo pezzo di plastica, gli enormi scudi paraurti, utili e pratici ma non certo belli?)
La Ritmo aveva una linea di rottura, forse anche troppo. Inizialmente disorientò la clientela, che non le riconobbe in un primo momento certe innegabili doti (spazio a bordo, tenuta di strada, visibilità) mettendo in luce la carente qualità dell’assemblaggio e dei materiali usati per l’interno, sicuramente condizionati dalla difficile situazione della Fiat in quegli anni.
Il guaio della Ritmo, si scrisse in seguito, è che pur moderna nel concetto, non nacque “a misura d’uomo”. Voleva essere una prova di forza, uno scatto di reni dell’industria torinese, che voleva dimostrare di saper produrre un’autovettura dallo stile e dai concetti innovativi.
Col tempo la clientela cominciò a digerire, anche grazie a continui investimenti finalizzati al miglioramento del prodotto (vedi la iper rifinita “Super”), la “strana” Ritmo, ma senza mai farsela piacere del tutto. Si arrivò così alla necessità di operare un classico in Fiat: il restyling normalizzante. Nel 1983 la Ritmo perdeva le sue prerogative (e molte delle sue stravaganze) per diventare un’auto matura, rassicurante, e medio borghese.
Intanto, nel 1979, da una costola della Ritmo, nasceva la Lancia Delta di Giugiaro.
Volutamente più sportiva e molto più esclusiva rispetto alla Ritmo, era anche meno spaziosa, meno pratica e sensibilmente più costosa.
Però, era così bella, così ben rifinita e con tante piccole invenzioni (basti solo ricordare gli innovativi scudi paraurti in tinta, ad anticipare la tendenza dei decenni successivi) che il gradimento fu praticamente unanime.
Solo l’avvocato Agnelli, come riferito
recentemente dall’autore Giorgetto Giugiaro in un’intervista, storse il naso: secondo l’avvocato, la Ritmo era molto più moderna della Delta.
Per la cronaca la produzione della Delta, anche grazie alle glorie sportive delle versioni HF (ma soprattutto all’intramontabile linea) arrivò fino al 1993: la Ritmo si era fermata sei anni prima, passando il testimone alla Tipo anche lei quasi a fine carriera al tempo.
L’avvocato era spesso dotato di grande intuito, ma talvolta peccava di lungimiranza.
Antonio Cabras. Sorso, 17 settembre 2019.