Cyberpanda.
Antò, ci sei cascato pure te. Tante prese di posizioni sulla paccottiglia moderna, sulla SUVvizzazione del parco auto, sul design ormai uniformato, e tanto scetticismo sulla sostenibilità ambientale delle auto elettriche. Ed eccoti qui a parlare, come tutto il resto del web, del Tesla Cybertruck.
Fai articoli nostalgici su epici e roboanti catenacci del passato, e la 127 Rustica, e la Renault Fuego, e la NSU Prinz, e ora? Tradisci in questo modo? Dissertando come nulla fosse di quella specie di incubo bidimensionale che deve essere venuto nottetempo ad Elon Musk dopo una mangiata di Bagnacàoda, caciucco e fainèè alla genovese mentre giocava a Galaxian con la sua amata console Atari 2600 del 1983?
Beh… Sì. O meglio, no. O meglio ancora, forse!
La verità vera è che non mi sono fatto un idea sul trabiccolo più discusso della rete, forse anche perché non c’è nulla da discutere. Tranne un veicolo con una linea da film fantadistopico italiano anni ’80 (quella roba di Castellari tipo “I guerrieri del Bronx”, non so se avete presente) che, per quanto ne sappiamo, potrebbe benissimo non rispondere nemmeno al minimo requisito necessario per un omologazione stradale. Insomma, il tanto strombazzato Pickup elettrico di Tesla, allo stato attuale, potrebbe benissimo non essere idoneo alla circolazione. Detto in soldoni, sarebbe solo un esperimento di stile da salone dell’auto, al pari della Citroen Karin del 1980, che molti appassionati filologi hanno trovato piuttosto somigliante in bruttezza. Anche se la Karin era un coupè. E, comunque, molto più attraente del Cybertruck.
Insomma, si parla del nulla potenziale, che potrebbe pure diventare nulla cosmico. E del nulla si parla anche quando leggi “ha già 250.000 ordini” manco fosse il nuovo disco di Boccelli sotto Natale, per poi scoprire che si tratta di una sorta di diritto di prelazione consistente in 100 miseri dollari, per di più rimborsabili: in pratica, un mero attestato di stima. Dei vetri infrangibili che si sono infranti, o di quel demenziale test col ford F100 al traino, meglio soprassedere pietosamente. Roba da bimbiminkia buona per la bolgia social. (Me lo dico da solo, anche se non ho ancora 40 anni: “Ok Boomer!”)
E però, tutti ne parlano. E anch’io ne parlo. E lo disegno pure: una inequivocabile vittoria per il folle Musk (Elon, se mi stai leggendo, ti faccio i miei assolutamente non ironici complimenti). E’ evidente che, se ne parlo, qualcosa mi ha colpito nella sua linea. Intendo, a livello visivo: se fossi colpito fisicamente da una roba del genere, mi dividerei a metà.
Vedete: in tanti, me compreso, hanno visto in questo monumentale ferro da stiro Rowenta sulle ruote, un che di post apocalittico. E certo è un effetto voluto e ricercato, come si può capire dal paraculissimo nome Cybertruck. Un veicolo che non avrebbe certo sfigurato nel mitico “Akira” (1988) di Otomo, in cui un truck compariva sul serio, ma era un Citroen HY degli anni sessanta “cyberizzato”: un arnese strano ieri ed ancor più strano oggi, che però a differenza della creatura di Musk aveva una portata di carico record e soprattutto poteva trasportarla, a piacimento del conducente, su strada pubblica. A dimostrazione del fatto che, come dico sempre, il futuro è ieri. Da appassionato del genere cinematografico a cui il Cybertruck fa paraculamente riferimento, non può non tornarmi in mente un capolavoro assoluto nonché immenso flop al botteghino, quel “I figli degli uomini” (2006) di Cuaron, che oltre ad aver previsto il salvinismo planetario, sfoggia un parco auto che più cyber non si può: Citroen CX Break, Renault Avantime, Fiat Multipla e Fiat Doblò, opportunamente mascherate ma assolutamente riconoscibili. E – volete proprio saperlo? – assolutamente verosimili, come e più del Cybertruck.Perché, signori miei: cosa c’è più Cyberpunk di una Multipla con qualche chincaglieria aggiunta? Assolutamente nulla! La Fiat, come al solito, era più avanti del futuro. E vado a dimostrare la cosa con un parallelo estremo.
Ho letto che il prezzo d’acquisto del Cybetruck è piuttosto contenuto, soprattutto per gli standard, invero per pochi, della Tesla: non si raggiungono nemmeno i 40.000 euro, veramente pochi se si tiene conto che si sta parlando di un veicolo completamente elettrico. Come hanno raggiunto questo risultato? Grazie all’utilizzo di superfici, sia vetrate che metalliche, completamente piane. Ottenendo un enorme risparmio sui costi di lavorazione.
Genio! Applauso per Musk, colui che riesce a trasformare l’acqua calda in cuori su Twitter. Peccato che gli stessi canoni siano stati utilizzati, ormai 40 anni fa, per la prima Fiat Panda. Superfici piane, ovunque. Economiche da fabbricare, facili da sostituire. Certo Giugiaro, ben prima di Musk, sapeva bene come sfruttare al meglio idee di successo altrui, ed ecco che i concetti delle 2CV e delle Renault 4 erano stati proiettati negli anni ’80 e, in prospettiva, nel nuovo millennio.La Panda non era bella, al pari del Cybertruck, e aveva qualche punto in comune di troppo con la 127 Rustica. Completamente nuova nello stile, poteva tranquillamente fare flop come la primissima 500, e invece il pubblico la capì dal primo momento.
La più cyberpunk di tutte era sicuramente lei, la geniale 4×4 con la meccanica studiata da quei pazzi scatenati della Steyr Puch austriaca, quelli che qualche anno addietro avevano infilato un boxer sotto il culetto della 500 facendone una bomba che Abarth je spicciava casa proprio. Con un motore poco più potente (il 965 cm3 da 48 CV della A112 Elite – Elegant – LX) e qualche modifica rustica che non ne cambiava per nulla il carattere rude ma modaiolo (molto riusciti i sedili in similpelle nera), il Pandino 4×4 poteva scalare colline, guadare fiumiciattoli e superare pantani, per poi essere elegantemente parcheggiato di fronte alla Scala di Milano, come da spot pubblicitario di fine anni ’80.
Negli anni, il suo connubio riuscito fra rusticità e snobbosità andò più volte a squilibrarsi verso quest’ultima: prima la serie limitata del 1985, con fari supplementari, cerchi tipo Y10 verniciati di bianco, bull bar, portapacchi ed interni più raffinati in stoffa rossa, strizzava l’occhio alla clientela più raffinata e modaiola. Ma fu con la bella Sisley del 1988, su base seconda serie (motore Fire 1.0 portato a 50 cv) che la Panda 4×4 divenne chic: vernice metallizzata, mascherina in tinta, interni in alcantara – fintapelle beige, lavafari a pressione, inclinometro sul cruscotto come i fuoristrada veri.Negli anni a seguire furono tante altre le varianti, come la Country Club 1.1 che sostituì la Sisley: un po’ meno raffinata ma pur sempre con inclinometro e portellone “dedicato” con scritta Panda 4×4 stampata a caratteri cubitali sulla lamiera. Il fuoristrada a forma di Panda arrivò a superare la boa del nuovo millennio con la versione conclusiva “Climbing”, oggi ricercata dai pandomani perché montava di serie il costoso dispositivo mozzi ruota liberi.
Alla luce di tutto ciò, facciamoci delle domande: Vi piace il Cyberpunk? Siete un po’ snob e vi piace farvi notare?Volete andare a guadare paludi e alla Scala nella stessa giornata?Volete fare incazzare Elon Musk?
Bene, la risposta la conoscete già. Compratevi una Panda 4×4.
Antonio Cabras | San Donato Milanese, 05 dicembre 2019.