“io gli volevo bene” – Enzo Ferrari
Gilles Villeneuve ha una storia che tutti conoscono, di cui tutti hanno scritto, ma che inevitabilmente inizia ad essere offuscata dalla patina che il tempo le vorrebbe dare.
Questo succede perché Villeneuve non è un pilota della categoria “vincenti” ad ogni costo, o sotto ogni aspetto. Ha vinto poco, ma la sua sregolatezza ha fatto di lui il personaggio che è stato, fin da quando e soprattutto quando era in vita. Nessun crescendo post mortem, non una canzone come “Ayrton”, che decollasse più di Dieci anni dopo la sua pubblicazione, non fiori ma figli, come opere di bene e di continuità.
Anche Jacques, suo figlio, che ha vinto molto più del padre, e non per forza nel nome del padre, titolo abusato su ogni testata degli anni Novanta, non è passato alla Storia con la stessa incisività di altri piloti quasi moderni, visto che si parla di una ventina d’anni fa, e non sono pochi. Evidentemente, ai canadesi trapiantati a Montecarlo, spetta il ruolo di eroi poco tradizionalisti, poco mitizzati, e questo è un bene perché non si incorre nel rischio inflazione, nelle frasi fatte che oggi, vuoi o non vuoi, hanno comunque infarcito quasi ogni profilo social, ogni giornale che sia registrato regolarmente presso un qualsiasi tribunale, ogni azione autoreferenziale di un qualsiasi blogger orfano dei blog e Instadipendente. Tutti hanno parlato di lui, ma qui su Superpista nessuno ha voluto parlarne.
Come mai, secondo voi? Un mistero, ma da qualcuno è arrivata una risposta lapidaria: “Non vorrei scrivere le solite cose”.
Beh, coraggio o meno, quello che conta sono le azioni, e l’azione è che noi abbiamo deciso di dedicare a Gilles Villeneuve alcune immagini, trasformate in stampe, in poster, argomenti dai quali è nato tutto questo, e lo si dice senza autocelebrazione, perché non siamo arrivati a quel punto e, anche quando saranno in più di Ventimila a leggerci, ogni giorno, resteremo non umili, e nemmeno umidi, ma persone che tentano di essere normali.
Cosa che Gilles Villeneuve non era affatto, ed è per questo che è piaciuto molto. Le sue gare epiche, con lo spoiler di traverso, con la Ferrari al collasso fisico, aerodinamico e al limite dell’inguidabilità, anzi, la gara epica in cui già è accaduto, quella di Montreal ’81, è forse la fotografia più importante di tutta la sua carriera, fatta così, di genio non genio, sregolatezza sregolatezza, inequivocabilmente sregolata, al punto di far saltare sulla sedia il Drake, con parole poco gentili rivolte a chi gli distruggeva le macchine, che costano. E il Drake, si sa, non butta via nemmeno il maiale già usato, o il limone già spremuto. Il Drake non era di Genova, e a Genova certe battute non si usano più, ma solo perché costano. O perché le scrivono, sui social, quelli che si sentono simpatici.
Villeneuve era un simpatico, e quello è un dato certo, un pazzo capace di viaggiare da Montecarlo a Maranello in meno di Tre ore, con la sua Ferrari 308 GTB. Già questo, in un’era in cui gli Autovelox non esistevano, ma la Stradale si, fa di lui il pilota che tutti sognano di essere, o provano ad essere, appena possono accelerare un minimo.
Il fatto che Villeneuve venisse dai bob, dal Canada, fa di lui un proto-montanaro grezzo, un giostraio della Formula 1 e, sotto sotto, ma non troppo, quello che il Drake voleva più di tutto: un pilota capace di gesti eroici, di operazioni funamboliche, di atti di spettacolarizzazione.
Perché la Ferrari, in Formula 1 come nella realtà su asfalto, nella 312 T5 come nella Mondial appartenente alla sfera delle peggio riuscite, ma coeva du Villeneuve, è soprattutto spettacolarizzazione del Bello, è Sogno, e il Sogno non può essere interpretato da un impiegatino, figura professionale che peraltro non esiste più. Come non può essere sostituito dai simulatori, o dai simulacri dei piloti quali oggi, spesso, sono i piloti, ormai prossimi all’essere pescati dalle selezioni dello Zecchino d’Oro.
Probabilmente, Villeneuve non accetterebbe mai di sedersi davanti a uno schermo, per giocare alla Play più realistica e avanzata, ma questa è un’ipotesi non dimostrabile, perché Villeneuve è scomparso nel 1982, quando immaginare il Futuro era questo, era lo stare chiusi davanti a un monitor che desse ogni tipo di risposta, ma quando la realtà era tutt’altro che digitale, e le sensazioni erano analogiche.
Villeneuve, forse, dovrebbe essere tenuto presente, nella memoria collettiva, per essere un pilota analogico, politicamente scorretto, non per questo volgare e soprattutto disposto a ogni mossa, anche la più pericolosa, per arrivare almeno alla fine di una corsa.
E la sua corsa, come tutti sanno, o come molti iniziano a non sapere, è finita quando meno ci si aspettava finisse, all’improvviso, in Belgio. Nemmeno in un autodromo così epico, anzi.
Enzo Bollani | Bosisio Parini, 8 maggio 2020.