4×4 = Turbo 16
Nei primi anni Ottanta, il campionato del mondo rally era diventato uno scontro a Due fra Audi e Lancia: se la prima aveva rivoluzionato il mondiale grazie alla sua Quattro, la seconda con la 037 era riuscita nell’impresa di vincere l’ultimo titolo della storia con un’auto a trazione posteriore. Ma le cose erano destinate a prendere una piega inaspettata. In quel periodo, la Peugeot navigava in acque tutt’altro che calme e una serie di investimenti sbagliati aveva messo a dura prova le finanze del gruppo.
Per rimettere in sesto l’immagine del marchio, la dirigenza affidò a un giovane Jean Todt il compito di creare un reparto sportivo per competere nel campionato rally. Quando il team si presentò al Tour de Corse 1984 con la 205 Turbo 16, le reazioni suscitate erano di sconcerto più che di sgomento. Paragonata alla Quattro e alla 037, due filanti coupé pensate per le competizioni, la T16 appariva innocua, quasi goffa vista la somiglianza con l’ultima utilitaria di Sochaux. Se poi consideriamo che l’esperienza della casa francese nella disciplina era ferma alla 104, che aveva vinto qualche trofeo minore, la figuraccia sembrava quasi una certezza.
Come spesso accade, però, l’apparenza inganna: nel corso della prima manche di prove, la 205 di Ari Vatanen demolì la concorrenza, piazzandosi davanti a tutti al termine della giornata. Il secondo giorno il pilota aumentò il suo distacco, confermando la propria leadership. Il finlandese volante, che non aveva mai visto la Corsica prima d’ora, si dimostrava l’uomo da battere, e tale sarebbe rimasto fino al cappottamento che lo costrinse al ritiro. A Dieci speciali dalla fine del rally, la Peugeot abbandonava i suoi sogni di vittoria in casa propria, in quella che era la prima uscita ufficiale della vettura. Ma i successi non tardarono ad arrivare, e al termine della stagione la T16 si aggiudicò tre delle cinque gare disputate: non proprio una figuraccia. Nel biennio 1985-1986 l’eccezione divenne la regola e la piccola francese fece man bassa di trofei, aggiudicandosi il mondiale costruttori e quello piloti per Due anni consecutivi.
Per questo, quando la FISA decise di cancellare il nascente Gruppo S, al termine di quella tormentata stagione 1986, per la Casa del Leone fu un colpo duro da mandar giù, anzi, durissimo. In verità, non c’era una macchina pronta a rimpiazzare la 205: piuttosto si pensava di tirarne fuori una versione ancora più estrema, con caratteristiche più avanzate della Evo 2, che aveva trionfato nel campionato uscente.
Il risultato fu la 205 T16, che gareggiò nella Pikes Peak del 1987, la celebre cronoscalata statunitense. Le modifiche, rispetto al modello da rally, erano consistenti. La cilindrata del motore era stata leggermente aumentata, portandola da 1779 a 1905 centimetri cubici.
Inoltre, trovavano posto sotto al cofano un nuovo turbocompressore Garrett a geometria variabile e un intercooler maggiorato, che permettevano alla vettura di raggiungere una potenza di 600 cavalli. Nell’abitacolo, la dotazione era ridotta al minimo indispensabile in modo da risparmiare peso: con una stazza di 850 chilogrammi, la Pikes Peak era più leggera di mezzo quintale rispetto alla Evo 2. Esteticamente, le differenze erano evidenti: oltre alle famigerate minigonne a effetto suolo, che erano costate la squalifica, poi revocata, delle 205 al Rally di Sanremo, l’auto montava delle vistose appendici aerodinamiche, che la tenevano incollata a terra.
La vera rivoluzione sarebbe arrivata solamente qualche mese più tardi: si chiamava 405 Turbo 16. Quando venne presentata, al Salone di Francoforte del 1987, le impressioni erano ben diverse da quelle sollevate al Tour de Corse di Tre anni prima, durante il lancio ufficiale della 205 T16. La nuova Turbo 16 era più slanciata della sua precorritrice, grazie a una linea sportiva ed elegante allo stesso tempo. La grossa ala posteriore lasciava tuttavia intendere che non si trattasse solamente di un bel coupé, ma dell’ultima arma da corsa della Casa del Leone.
A livello tecnico, le novità principali riguardavano l’adozione di un telaio tubolare e di una trasmissione rivista. Quest’ultima venne dotata di un differenziale centrale regolabile direttamente dal conducente: in questo modo il pilota poteva ripartire più velocemente la distribuzione della coppia fra l’anteriore e il posteriore. Il motore, invece, fu ereditato dalla 205 che aveva gareggiato nella recente Pikes Peak. Il peso complessivo si attestava sugli 880 chilogrammi, giustificati dalle dimensioni maggiori, che rendevano di fatto la vettura più stabile.
La 405 T16 fece il suo debutto agonistico alla Parigi-Dakar del 1988, nella versione Grand Raid, appositamente progettata per la massacrante traversata. Le modifiche comprendevano Due serbatoi carburante da 435 litri di capacità, e un assetto rialzato che permetteva una grande escursione delle sospensioni, in modo da affrontare le dune del deserto. Il motore era stato depotenziato a 400 cavalli, per ottimizzarne l’affidabilità. Il primo successo arrivò invece alla Pikes Peak di quello stesso anno, dove il team Peugeot schierò tre 405 Turbo 16 per aggiudicarsi quella vittoria solamente sfiorata nell’edizione precedente.
In questo caso, le vetture erano riconoscibili per la loro impostazione aggressiva, che le rendeva un avversario temibile per ogni sfidante. Le appendici aerodinamiche conferivano all’auto un aspetto più minaccioso rispetto alla 205, che veniva però bilanciato dalla linea elegante. Dal punto di vista meccanico, un’ulteriore finezza era data dalle Quattro ruote sterzanti che, in coppia alla trazione integrale, garantivano un’aderenza perfetta sulle salite del Pikes Peak. La potenza dichiarata era salita a 650 cavalli, anche se Ari Vatanen smentì questa versione in un’intervista successiva, affermando che quella della sua vettura si aggirasse intorno agli 800.
Il resto della storia è leggenda, con il finlandese volante che, a distanza di Tre anni da quel Tour de Corse sfumato all’ultimo, a distanza di un incidente che gli era quasi costato la vita, al Rally d’Argentina del 1985, danza finalmente sulla vetta del Pikes Peak, per prendersi il cielo e la gloria della vittoria.
Alessandro Giurelli | Roma, 2 maggio 2020.