I bambini hanno sempre ragione
“I bambini hanno sempre ragione !”
Lo ripetevo a me stesso, come un mantra, mentre raggiungevo, con qualche preoccupazione, un aeroporto romano, molto prima dell’alba di un gelido giorno di gennaio, qualche anno fa.
E lo ripeto anche adesso, quando, assai divertito, mi trovo a ripensare a quella avventura che non è terminata, perché il suo risultato è ancora con me.
Come lo è quella edizione di “Tutte le auto del mondo”, edita da Quattroruote, stagione 77/78: 650 pagine fitte fitte, ove erano state stipate schede tecniche della produzione automobilistica che andava da “AC Cars” sino a “Zil”, con un tuffo tra i pochi fuoristrada sul mercato, rigorosamente in un capitolo a sé.
Non mancavano le fotografie, ovviamente, tutte analizzate con l’assoluto criterio scientifico di un bambino di 7 anni e classificate per iscritto in ordine di gradimento: “Bleat” (pessima); “Così così” (mediocre); “Normale” (sufficiente); “Bellina” (discreta); “Forte” o “Gustosa” (buono); “Gustosissima” (ottimo); “Meravigliosa”, “Magnifica” o “Favolosa” (eccellenza).
E rido ancor più forte, perché tra le ultime due classi di merito ritrovo gran parte delle automobili che, guarda caso, nel tempo ho deciso di acquistare (ma anche di vendere, ahimè).
Lo ammetto, tra queste c’era anche la Aston Martin Lagonda, in quel libro fotografata di tre quarti posteriore e anteriore, con in bella evidenza la inconfondibile targa di famiglia “1 AML”.
Cosa potesse spingere un bambino a trovare “favoloso” un oggetto del genere, così sconcertante, non sono in grado di dirlo neanche oggi, dopo più di 40 anni, che ne sono proprietario.
Lo ammetto: sapevo che lo sarei diventato anche prima dell’alba di quel giorno di gennaio, diretto nell’Oxfordshire.
Eppure non conoscevo nulla o quasi di quell’auto, che avevo solo scovata durante uno dei consueti webtours notturni, poche settimane prima e ne avevo fatta oggetto di un intensissimo scambio di mail con il venditore; carta, foto, informazioni, tutto virtuale insomma.
Sicché, precettato l’amico Massimo che è assai grande e grosso di me e in quel tempo più affidabile con l’inglese, sono sbarcato di prima mattina a Luton, ove avevo appuntamento con chi mi avrebbe accompagnato.
Fui contento di aver portato con me qualcuno, quando incontrai un mix tra il Captain Who della mia fanciullezza (e daje….) e un aviatore della seconda guerra mondiale, preceduto e accompagnato da un evidente effluvio molto più proprio di un buon torbato che di dopobarba per uomini duri.
In effetti, il tempo perso dal tipo a vagare nel parcheggio dell’aeroporto alla ricerca dell’auto, mi convinse che non di dopobarba si trattava.
E così, ripetendomi ancor più insistentemente che “ i bambini hanno sempre ragione”, non senza fatica ci siamo trovati nel mezzo di un verdissimo nulla: capannone rigorosamente in legno di piccole dimensioni (ma pieno di chicche a quattro ruote), e “quella cosa” parcheggiata all’esterno, che forse non esaminai davvero a fondo, tanta era la curiosità di accenderla, sentirla e muoverla.
Ma, a pensarci bene, nemmeno sentirla così bene, perché la memoria mi ricorda che all’avvio qualche cilindro latitava: all’appello risposero forse in 5 o 6 o forse meno e solo dopo un po’ decisero anche gli altri di raggiungerci.
Non fu sufficiente questo a scoraggiarmi e neanche attraversare stradine che mi sembravano più strette della macchina, a velocità sconsiderata, manco a dirlo grazie al “mio” autista.
Avevo deciso da prima di portarla a casa, anche se forse non lo sapevo.
Fu ampiamente sufficiente, al contrario, sistemare le formalità in 10 minuti, compresa la sottoscrizione di una assicurazione inglese on line per 5 gg: saluti, niente baci, niente torbato e prua (pardon: muso), verso casa; così, senza soluzione di continuità, accadesse quel che potesse accadere.
Ma d’altra parte, dopo aver infilato (gesto che ai più raffinati suonerà un po’ rischioso) quasi 100 litri di benzina nel serbatoio, accessibile da due lati, cosa poteva accadermi?
Ingenuo, in effetti, non avevo pensato che le onnipresenti rotondine inglesi stanno alla Lagonda come un Iveco turbostar ad un box condominiale !
Ma avevo la soluzione anche per quello: con i suoi tre metri di apertura alare, Massimo si precipitava in mezzo alla strada, bloccando il traffico. E e così, con tre, poi due e quindi una manovra (prodigi dell’esperienza), il gioco era fatto.
L’ingresso in autostrada fu salutato con tutta la gioia del mondo, prima di tutto perché si era fatta sera e potevo giocare con quella fanaleria esagerata: side lamps, head lamps, flash e quant’altro.
Mi sembrava più emozionante dell’accensione dell’albero di Natale a Rockfeller Center e, caspita, funzionava tutto !
E funzionava pure il famigerato cruscotto, che ho passato ore ad osservare, tra numeri di ogni tipo e spie variamente colorate: di tutto e di più, ma senza il contamiglia totale, che proprio non trovavo.
Per forza, era “logicamente” posizionato nel vano motore, delle dimensioni (e caratteri) di quello della bici che avevo da piccolo (e tre….), assolutamente inutile, insomma.
Ma chi se ne importa, io avevo deciso di prenderla pure prima….
Fu necessario concentrarsi un po’ meglio sull’indicatore della benzina; 100 litri possono finire presto e sembrano finire ancor prima, dal momento che il cinico progettista aveva pensato di mostrare il consumo in percentuale (litri/capacità serbatoio): una cosa più volatile di una foglia secca nel vento, in sostanza, come si verificava al primo accenno di salita o discesa; figuriamoci con una accelerata.
Ma “i bambini hanno sempre ragione” e spesso sono più ingegnosi degli adulti: così, ogni 3 ore di guida, a velocità costante, bastavano 50 euro a rasserenare gli animi e la vista, per sentirsi trasportati da uno stranissimo tappeto volante, con voce roca e a volte un po’ arrogante, dritti verso casa.
Il resto del viaggio fu arricchito da poche ore di sosta nel nord della Francia in un hotel “vagamente” equivoco, dopo aver dovuto prendere le misure alla porta di ingresso del vagone treno che attraversava la Manica; e poi, tante soste da 50 euro, un rabbocchino di olio e una marea di risate.
D’altra parte, si sa, “i bambini hanno sempre ragione” Sempre!
Angelo Raffaele Pelillo