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Experimental Composite Vehicle: l’ufo Lancia – Superposter
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Experimental Composite Vehicle: l’ufo Lancia

Il Mondiale rally 1986 si era aperto nel migliore dei modi per la Lancia: a Montecarlo, prima tappa della stagione, Henri Toivonen aveva portato in trionfo la Delta S4, chiudendo davanti alla Peugeot 205 T16 del campione in carica Timo Salonen e all’Audi Quattro S1 di Hannu Mikkola. La nuova arma da guerra del team Martini Racing aveva già dimostrato le sue potenzialità dominando il RAC dell’anno precedente, piazzandosi prima con lo stesso Toivonen e seconda con Alen, in quello che tradizionalmente era il rally a chiusura del campionato. I successi, tuttavia, non potevano essere motivo di riposo per la scuderia. Chi si ferma è perduto, soprattutto nel mondo delle competizioni, soprattutto in vista del 1987: l’anno che avrebbe visto la nascita del Gruppo S e il pensionamento prematuro della S4 e di tutte le Gruppo B.

Il progetto su cui stavano lavorando gli ingegneri Abarth rispondeva al nome in codice ECV. La sigla era un acronimo per “Experimental Composite Vehicle”, anche se forse “Elemento da Corsa Volante” sarebbe stato più appropriato. La ECV faceva paura, e l’enorme ala posteriore montata sul tetto dava l’impressione che la vettura potesse spiccare il volo da un momento all’altro. Nello studio del prototipo, la principale novità riguardava il telaio: non tanto per l’idea di utilizzare materiali quali kevlar, carbonio e fibra di vetro, quanto per la decisione di adottare un’impostazione della scocca “in vasca”, in luogo di quello a traliccio della S4. Grazie a queste caratteristiche, la ECV avrebbe potuto vantare una maggiore rigidezza torsionale e un risparmio di peso superiore al 20% rispetto a quello della Delta. Ogni pezzo era progettato per garantire la massima leggerezza ottenibile, senza compromettere la robustezza. Persino i cerchioni Speedline erano realizzati in fibra di carbonio e materiali compositi, e si rivelavano più leggeri del 40% se paragonati ai tradizionali cerchi in lega di magnesio. Il peso complessivo della vettura si attestava sui 930 chili.

La seconda fondamentale novità, si trovava sotto al cofano dell’auto. Posto in posizione centrale spiccava il propulsore Triflux: l’ultimo ritrovato tecnologico dell’ingegneria italiana. L’inedito motore era dotato di un rivoluzionario sistema di distribuzione, caratterizzato da valvole poste in una posizione a “X”. In questo modo, si otteneva una migliore ripartizione di calore e i gas di scarico venivano convogliati più efficacemente verso le due turbine KKK di sovralimentazione. Queste ultime, entravano in funzione progressivamente: la prima sotto i 5000 giri e la seconda sopra. La ECV poteva quindi vantare un’ottima coppia sia ai bassi che agli alti regimi, riducendo sensibilmente il fastidioso effetto turbo-lag, tipico dei motori sovralimentati. Così facendo, il 1.8 poteva scaricare a terra tutta la sua potenza, variabile fra i 600 e gli 800 cavalli a seconda della configurazione. La trazione era, nemmeno a dirlo, integrale.

Ma ancora una volta, chi si ferma è perduto, anche quando non c’è più una competizione in cui gareggiare e nessuno da superare. Dopo aver percorso qualche centinaio di chilometri di test, la ECV venne accantonata in un capannone, dove rimase indisturbata per un paio di anni, come un demone negli abissi. Nel 1988, forse per mero esercizio stilistico, forse nella speranza di un ripensamento da parte della FISA, la Lancia decise che era giunto il momento di risvegliare il mostro dal letargo. Se dal punto di vista della meccanica, c’era poco da migliorare, quella che poteva essere perfezionato era la carrozzeria, che riprendeva molte delle caratteristiche della S4.

Il compito di ottenere un migliore coefficiente aerodinamico fu affidato alla matita di Carlo Gaino, allora in forza alla Italdesign. Venne progettata una linea completamente nuova, caratterizzata da una forma più compatta (la ECV 2 era poco più lunga di una Fiat Uno) e filante. Grazie alle vistose appendici aerodinamiche, a una migliore distribuzione dei pesi e al baricentro più basso, la vettura poteva vantare una maggiore stabilità e una tenuta di strada superiore rispetto alla prima ECV. Le prestazioni erano impressionanti e facevano della macchina un vero e proprio fulmine bianco perlato: 220 km/h di velocità massima, raggiungibili in dieci secondi.

Come spesso accade, il destino si rivela essere impietoso: i vertici della federazione sportiva non vollero sapere di modificare il regolamento del campionato rally e anche questo secondo prototipo fu destinato all’oblio, lasciando incompiuta la storia di un sogno tanto brutale quanto affascinante.

La ECV 2 è oggi conservata nel museo Lancia di Torino, in bella mostra assieme alle altre regine da rally del marchio. La prima ECV è di fatto stata smantellata per poter costruire la seconda, ma una grande opera è stata condotta da Beppe Volta, che ha saputo ricostruirla fedelmente partendo da una Delta S4. Grazie a quest’impresa, la ECV ha potuto fare la sua comparsa ufficiale al Rallylegend 2010, destando lo sguardo di tutti gli spettatori, rimasti attoniti alla vista di quello strano, minaccioso ufo Lancia.

Alessandro Giurelli | Roma, 1 aprile 2020.

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