ROTTANTA: il bellissimo disastro NSU.
Uno dei luoghi comuni dell’automobilismo moderno è che i tedeschi producano – e, cosa più importante, sappiano vendere – automobili di fattura molto buona, ma che in genere queste siano carenti in fantasia ed estro. Insomma, una volta trovata la formula di successo (sia essa una Golf o un’Audi A4) i successivi modelli non si discostano mai dal precedente, costituendone un lieve restyling, tanto lieve da ingenerare confusione a chi non sia completamente addentro il mondo automobilistico. I clienti invece, ringraziano per la tenuta del proprio modello, che tiene il valore grazie a questa politica di design “conservatore”avendo come effetto ultimo quello di fidalizzare la clientela.
Peraltro, questo modus operandi non sempre è stato osservato: nella storia ci sono stati fulgidi esempi di auto tedesche piene di estro ed esperimenti stilistici. Uno dei più felici, a mio giudizio, era la strabiliante Porsche 928, che pur mantenendo l’esemplare qualità costruttiva tedesca (“quasi irritante”, parafrasando un Quattroruote dell’epoca) aveva un numero di invenzioni stilistiche tanto elevato da essere solennemente snobbata dalla clientela purista dell’epoca, che solo anni dopo si rese pienamente conto di che formidabile progetto fosse.
Ma ci fu un episodio di gran lunga più eclatante, verso la fine degli anni sessanta, con la lunga coda del boom ancora in atto, il mercato automobilistico in continua crescita, e i progettisti letteralmente scatenati. In quel periodo particolarmente frizzante vi era anche chi (e non poteva non essere un tedesco, essendo tedesca sia la paternità del primo motore a scoppio quanto del motore a gasolio) si era messo in testa di superare il concetto tradizionale di motore, quello composto da un numero di parti (asse a camme, bielle, pistoni, ecc.) che se aveva raggiunto un livello di affidabilità ed economicità molto soddisfacente, aveva pur sempre il problema della dissipazione di energia a causa degli attriti e del gran numero di pezzi. Con tutte queste premesse, Felix Wankel aveva messo a punto il suo celebre motore rotativo, costituito essenzialmente da un pistone di forma vagamente triangolare che non si muove di moto rettilineo, come nei motori alternativi tradizionali, ma ruota attorno ad un asse. I vantaggi erano innegabili, primo fra i quali una potenza specifica abbondante rispetto alla cilindrata ridotta, e di conseguenza, minor consumo.
Il progetto interessò da subito la tedesca NSU Motorenwerke (e poco dopo anche la Citroen, tramite la controllata Comotor, ma questa è un’altra, tragica storia…) che, fra una Prinz e una motocicletta, aveva investito fior di marchi nel progetto arrivando alla sua prima applicazione di serie: la NSU Spider, che con il suo monorotore di appena 500 cm3 sviluppava la bellezza di 50 CV spingendola oltre i 150 orari, valore notevolissimo per l’epoca.
Ebbra del benessere dovuto al successo dei suoi modelli “tradizionali”, vedi la succitata Prinz, e decisa a sfruttare le promettenti caratteristiche del motore Wankel, alla NSU si convinsero della necessità di operare il grande salto: una berlina di prestigio equipaggiata da quel rivoluzionario motore. Dopo uno sviluppo fulmineo, nel 1966 erano già pronti i primi prototipi, e già nel 1967 i primi esemplari definitivi cominciarono a lasciare le linee della fabbrica di Neckarsulm: nel settembre dello stesso anno la NSU Ro80 (ove “Ro” sta per “Rotativo” e “80” era il nome del progetto) venne svelata al salone di Francoforte ad un pubblico semplicemente sbalordito.
Lo sbalordimento di pubblico e stampa specializzata non era dovuto tanto alla presenza del motore rotativo, che in questo caso era un birotore con cilindrata complessiva inferiore ad un litro ma con potenza di 115 cavalli, vale a dire come un due litri tradizionale di impostazione sportiva, quanto alla linea, che univa l’esasperata ricerca aerodinamica (la linea di Claus Luthe era accreditata di un cx di 0,35, fra i migliori del tempo, consentendo alla Ro80 di superare i 180 km/h) e il passo smisurato di tipica impronta Citroen DS ad una accuratezza costruttiva assolutamente tedesca. Slanciata, sinuosa, affusolata, la Ro80 era spettacolare ed ammaliante come lo fu la DS nel 1955, ma a differenza di quella montava un propulsore rivoluzionario. Il resto della meccanica era adeguato: trazione anteriore, quattro freni a disco, servosterzo idraulico e cambio a tre rapporti semiautomatico, vale a dire senza pedale della frizione: la guida è estremamente appagante, la tenuta di strada sicura, la frenata istantanea. Inappuntabile anche l’interno, con una plancia dal design più tradizionale ma dalla finitura esemplare, e sedili ampi e comodi con abitabilità record dovuta al passo lungo.
La Ro80, e non poteva essere altrimenti, viene subito eletta Auto dell’anno: un riconoscimento prestigioso quando ancora quel premio aveva un valore effettivo. Così, nata sotto i migliori auspici, con la benedizione adulante della stampa e con le prenotazioni che fioccavano, la Ro80 si avviava serenamente a diventare…. Uno dei più grandi disastri della storia automobilistica tedesca.
Almeno per i primi anni, le cose non andavano affatto male: nonostante costasse quanto una Jaguar XJ6 e un rombo a metà fra quello di un grosso aspirapolvere (se la ascoltavi da davanti) o una Vespa truccata (se la ascoltavi da dietro), la Ro80 piazza 6000 unità nel 1968, 8000 nel 1969 e 7000 nel 1970. dopodichè, il tracollo completo. Questo perché si era ormai diffusa a macchia d’olio la pessima reputazione dovuta al motore, che spesso già prima dei 50.000 km si rompeva ingloriosamente a causa di difetti congeniti di lubrificazione del rotore, della ceduta delle guarnizioni di tenuta, o dello sgretolamento del rotore stesso a causa del materiale inadatto all’enorme stress dovuto all’elevato numero di giri e della predetta scarsa lubrificazione. In buona sostanza, la Ro80 si rivela ben presto un bagno di sangue per la NSU, che deve far fronte a centinaia di esemplari con motore distrutto che tornano in assistenza, e che non di rado devono essere sostituiti gratuitamente in garanzia quando non completamente di nascosto, per non ledere la reputazione della Casa: una celebre leggenda metropolitana parla di camion che arrivavano nelle officine nottetempo, carichi di birotori nuovi pronti per l’immediato trapianto negli esemplari che venivano poi riconsegnati agli ignari clienti convinti che si sia trattata di una semplice messa a punto.
Clienti che però non di rado si ripresentavano in assistenza dopo altri 20, 30.000 km con i medesimi problemi di prima. Già nei primi anni settanta la Ro80 divenne l’auto “da evitare” per eccellenza, tanto che un’altra celebre leggenda metropolitana riguarda i proprietari che, incrociandosi per strada, si salutano segnando con la mano il numero di motori sostituiti…..
Insomma, un disastro di immagine e soprattutto finanziario che spinse la NSU fra le braccia della Volkswagen già nel 1969, per poi essere fusa con Audi. La bellissima e fragile Ro80, la berlina più innovativa dai tempi della DS, nel frattempo venne migliorata: il materiale dei rotori venne migliorato, così la lubrificazione, e le guarnizioni di tenuta irrobustite. Venne anche aggiunto un cicalino per avvisare del raggiungimento del fuorigiri, che molti proprietari entusiasti delle prestazioni avevano superato allegramente con effetti nefasti sulla durata del motore. Ma ormai la frittata era fatta, e complice anche la crisi energetica (il birotore non aveva consumi proprio sobri) le vendite della Ro80 furono catastrofiche finchè non ne fu deciso lo stop alla produzione nel 1977, dopo circa 38.000 esemplari prodotti, una buona parte dei quali era già stata demolita al tempo.
Cosa resta di tutto ciò, a parte le note leggende metropolitane?
Presto detto: i particolari salienti della bellissima linea della Ro80 continua a vivere in certi modelli Audi (a partire dalla “80” del 1987 per arrivare alle ultime A4, osservate il padiglione: è praticamente lo stesso…) mentre il vituperato motore Wankel ha avuto comunque la sua gloria essendo stato successivamente sviluppato dai giapponesi di Mazda, ostinati come nessun altro nell’universo, fino a raggiungere spettacolari livelli di potenza e un’affidabilità più che accettabile, oltre ad avere fatto per molti anni fronte ad uno dei più insidiosi problemi di quel motore: le emissioni.
Nella mia fantasia malata, vive un sogno malsano: una Ro80 col motore Mazda RX8.
Mica male come swap…..
Antonio Cabras | Milano, 6 febbraio 2020.