Citroën XM: il salotto di cristallo
Il capitolo sulle ammiraglie di Mitterrand non può che concludersi con la versione della Citroën: la XM. Sul finire degli anni ottanta, la casa del double chevron era ancora leader indiscussa nel segmento delle medie e grandi berline francesi. La CX, in listino dal 1975, vendeva ancora bene, merito soprattutto della linea intramontabile disegnata da Robert Opron (che a sua volta si ispirò al prototipo BMC di Pininfarina). La vettura continuava a piacere, nonostante gli aggiornamenti l’avessero appesantita di una massiccia dose di plastica, secondo i canoni stilistici dell’epoca. Era tuttavia evidente che il progetto cominciava a sentire sulle spalle il peso degli anni e occorreva trovare una sostituta capace di portare la Citroën fino alla soglia del nuovo millennio.
IL DESIGN
Gli studi per l’erede della CX avevano preso piede già dal 1984, con la redazione di un dossier contenente specifiche ben precise che riguardavano essenzialmente il lato tecnico della nuova vettura. Dal punto di vista stilistico, le idee non erano altrettanto chiare e in aggiunta al centro stile interno venne chiamato in causa lo studio innovazioni di Carrières-sous-Poissy (sempre nell’orbita PSA), oltre che due nomi storici come quelli di Gandini e Bertone. I progetti passarono al vaglio dell’allora presidente Xavier Karcher, che scartò le prime due proposte, ritenute troppo ancorate agli stilemi della CX, con la quale si voleva cercare un punto di rottura. Anche il modello di Gandini fu respinto perché il disegno del frontale aveva un’impronta ritenuta troppo somigliante a quella della Opel. Alla fine prevalse il disegno di Marc Deschamps, in forza alla carrozzeria Bertone. In netta contrapposizione con i tratti armonici e arrotondati della CX, la linea della XM era spigolosa, con un frontale caratterizzato da gruppi ottici sottili e un muso tagliente come una freccia. Nella scelta del corpo vettura si optò per il collaudato schema a due volumi, caratteristico delle ammiraglie che avevano reso celebre il marchio del double chevron nel mondo. Le dimensioni massicce erano alleggerite da un’ampia finestratura che si estendeva lungo tutta la fiancata e si andava a raccordare al parabrezza e al lunotto, rendendo la XM un vero e proprio salotto di cristallo. In totale si contavano la bellezza di tredici vetri, di cui uno interno ottimizzava la climatizzazione, proteggendo i passeggeri dal freddo durante l’apertura del portellone bagagliaio. Il posteriore era caratterizzato da grossi gruppi ottici triangolari con indicatori di direzione bruniti separati da stop e luci di posizione attraverso una fascia in tinta con la carrozzeria. Sull’accenno di coda era posizionato uno spoiler che stonava leggermente con la filosofia della vettura e con la sua linea pulita e futuristica.
LA SICUREZZA E GLI INTERNI
Dal punto di vista delle qualità stradali, le intramontabili sospensioni idropneumatiche, punto di forza della casa del double chevron dai tempi della rivoluzionaria DS, vennero arricchite dall’inedito sistema Hydractive (nelle versioni di punta). Il funzionamento era il medesimo della Peugeot 605, con la quale la vettura condivideva il pianale ed alcune soluzioni tecniche. Grazie all’ausilio di una centralina, che variava la quantità di gas comprimibile e l’elasticità, era possibile tarare la durezza delle sospensioni in tempo reale, adattandole sulla base del manto stradale e dello stile di guida, garantendo un’ottima tenuta di strada in ogni condizione. I primi sistemi, chiamati H1, soffrivano di frequenti guasti spesso causati dalla scarsa qualità dei connettori dei cablaggi, che tendevano a ossidarsi: come conseguenza il calcolatore centrale adottava una politica di gestione “in sicurezza”, irrigidendo le sospensioni e facendo crollare il comfort di guida fino al reset successivo. Quello che doveva essere il principale cavallo di battaglia della Citroën, capace di rimediare alla tendenza della CX ad inclinarsi in curva, si rivelò essere il punto critico della vettura. Un altro grave difetto della XM era da ricercare nei tamponi delle sospensioni anteriori, soggetti a rotture improvvise con tanto di fuoriuscita degli steli dal cofano. L’ABS e le cinture di sicurezza con pretensionatore erano di serie. I freni erano a disco sulle quattro ruote, autoventilanti quelli anteriori. Per ovviare ai problemi di corrosione che avevano afflitto la sua progenitrice, la scocca della XM venne sottoposta ad un rigoroso trattamento antiruggine, utilizzando svariate tecniche: dalla galvanizzazione all’elettrozincatura, al bagno in fosfato di zinco.
L’ abitacolo richiamava quell’impronta razionale che contraddistingueva il resto della vettura: il volante era caratterizzato dal classico disegno monorazza, emblema dei modelli della casa francese, al pari dei passaruota posteriori semicareni. Il tachimetro non era più a tamburo come nella CX, ma si optò per una strumentazione più intuitiva composta da tre classici indicatori circolari. Sotto al cruscotto era collocato un pannello di controllo in grado di visualizzare fino a 24 messaggi diversi relativi ad anomalie o dimenticanze (come per esempio le portiere o il baule chiusi male). Degli eleganti inserti in radica andavano ad arricchire i pannelli porta e la consolle centrale, sposandosi perfettamente con i sedili in tessuto o in pelle (quelli davanti regolabili elettricamente). L’ abitabilità venne in generale migliorata e ampliata rispetto a quella della CX, grazie a una maggiore altezza e a un passo più ampio. Nella progettazione degli interni, si volle prestare un occhio di riguardo al comfort dei passeggeri, motivo per cui si decise di rialzare leggermente il divano posteriore in modo da permettere una miglior visuale anche a chi sedeva dietro. Grazie al doppio vetro del portellone e alle bocchette di aerazione presenti posteriormente, la XM poteva vantare un efficace sistema di climatizzazione (completamente automatizzato). Motivo, che assieme alle altre caratteristiche sopraelencate, la rese una delle vetture presidenziali preferite dai vertici francesi. L’ ottima versatilità era penalizzata da un bagagliaio più piccolo rispetto alle concorrenti: era possibile guadagnare spazio aggiuntivo abbattendo il divano posteriore. In fase di manovra, la visibilità non era delle migliori a causa della ridotta altezza del lunotto e dell’ingombro dell’alettone, oltre che per il riflesso che poteva scaturire dal doppio cristallo del bagagliaio.
Grazie alla bontà complessiva del progetto e alle soluzioni all’avanguardia nello stile e nella sicurezza, la XM poté fregiarsi del titolo di vincitrice del premio Auto dell’anno 1990.
I MOTORI
Al suo debutto in Italia nell’estate 1989, la vettura era disponibile in tre motorizzazioni, tutte a benzina: un 4 cilindri 2.0 da 128 cavalli, derivato da quello montato sulla Peugeot 405 SRi, lo stesso 2.0 nella variante catalizzata (la cui potenza scendeva 121 cavalli) e un 3.0 v6 equipaggiato col PRV a iniezione da 167 cavalli. Qualche mese dopo, si aggiunse al listino il 3.0i v6 24v, potenziato a 200 cavalli. Nonostante l’indole non propriamente sportiva dei primi due motori, la XM poteva contare su una linea dal basso coefficiente di resistenza aerodinamica (pari a 0,28) che favoriva le prestazioni e soprattutto i consumi. Alla maggiore prontezza ed elasticità degli ultimi propulsori, si avvertiva di contro una certa ruvidità di funzionamento, oltre ad alcuni singhiozzi in fase di rilascio. A scelta, in alternativa al cambio manuale a cinque marce, era possibile richiedere l’automatico a quattro rapporti che equipaggiava pure le Tipo 4.
A ottobre arrivò anche una versione a gasolio: la blanda 2.1 TurboD, da 109 cavalli. Nel febbraio 1993 la gamma venne arricchita della 2.0i Turbo CT da 141 cavalli, caratterizzata da una sovralimentazione soft che privilegiava la coppia. Nell’estate dello stesso anno, tutti i modelli adottarono le sospensioni Hydractive II, che risolvevano le criticità iniziali del sistema.
LA BREAK E IL RESTYLING
La XM è stata l’unica fra le ammiraglie francesi di fine anni ottanta ad essere proposta anche nella versione station wagon. La Break verrà svelata al pubblico e alla stampa al Salone di Francoforte del 1991, caratterizzandosi per la sua eccezionale capacità di carico (da 720 a 1960 litri). Con quasi 5 metri di lunghezza, l’imponente vettura assemblata dalla Heuliez (la carrozzeria che produceva le versioni giardinette della CX e della BX, specializzata nella conversione di questi modelli in ambulanze) era la più grande familiare in produzione in quegli anni. Nel 1994, in occasione del 75° anniversario della Casa, la XM beneficiò di un lieve restyling che pose in evidenza il double chevron al centro della mascherina frontale. Posteriormente lo spoiler venne ridimensionato, raccordandosi in maniera più armonica con la linea. Le modifiche maggiori interessarono l’interno della vettura: la plancia venne completamente rinnovata nel disegno e il caratteristico volante monorazza fu sostituito da uno più tradizionale con l’airbag integrato. Vennero spostati anche i comandi della radio previsti come optional sullo stesso volante, precedentemente collocati in una posizione piuttosto scomoda che dava la strana impressione di guidare un telecomando. Nella gamma dei motori esordì il 2.0 16v da 132 cavalli a benzina e il 2.5 TurboD da 128 cavalli. Nel luglio 1997 fu la volta del nuovo 3.0i v6 24v da 190 cavalli che equipaggia anche la Xantia, al quale poteva essere accoppiato un cambio automatico 4HP20. Fu l’ultima modifica: nel 1999 venne sospesa la produzione della Break, mentre l’anno successivo si concluse la carriera della berlina, per un totale di 333.775 XM prodotte.
Mi piace ricordare quella che per certi versi fu l’ultima della ammiraglie Citroën (escludendo il clamoroso flop C6), con una scena che ha segnato la mia infanzia e che ben riassume la storia di questo sfortunato modello: l’inseguimento nel film Ronin.
Alessandro Giurelli | Roma, 22 novembre 2019.