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Quanto può valere? – Superposter
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Quanto può valere?

La lingua italiana ha subito molte modifiche, negli ultimi tempi. 

Non ce ne accorgiamo, probabilmente, ma basterebbe pensare ad “Autoclassica” del 2013, per ritrovare quel mondo di commercianti, truffatori sgamati o inconsapevoli, perché l’Insaputa era uno sport di moda già allora, dai tempi della casa di Umberto Bossi a Gemonio, imbiancata senza che nessuno notasse il transito degli imbianchini. 

In quel mondo lì, in quell’anno lì, era ancora lontana la moda delle barbe lunghe, che per la cronaca fanno anche schifo, anche se sono un paravento per le facce che coprono, e non era ancora entrato nel linguaggio corrente (a patto che paghi l’Enel o chi per lei) il “Quanto può valere?”, che non è altro che un “how much could” doppiato dalle voci dei canali satellitari, stellari, digitali terrestri arrivati sulla Terra, come recitava una campagna del 2006, sparsa per tutta la Maremma. No, non è una battuta. 

In quel 2013, anche perché di altri non ce ne sono stati, andare per fiere voleva dire girare per padiglioni semivuoti, come la famosa trattoria, e incrociare solo signori di una certa età, o giovani con il portafoglio dei padri, sempre di una certa età.

Gli influencer non si erano ancora messi a restaurare male i box di Bruzzano, per farci i loft e infilarci dentro la Porsche ritargata del padre, e ancora non si erano messi a telefonarti per scroccare una bicicletta della premiatissima marca, per fare la loro marchetta.

Non esistevano, semplicemente.

 

Come non è mai esistita, invece, la W107. Spiegare loro che, la SL, si chiami R e non W, è un’impresa non da poco.

Anche inutile, perché non sanno che W stia per Wagen, e che R per Roadster.

Uno vorrebbe fare la battuta su R per Rincoglionito, ma salterebbe fuori qualche altro individuo a non capirla, e allora, perché insistere?

 

  1. Perché questo non è un MESTIERE, ma una specie di missione. Non è una cosa che si improvvisi: o ce l’hai, o non ce l’hai. Come quando si dice che i neri hanno la musica nel sangue. Senza G, perché non puoi fermare un ballo negro e, se usi il termine, ti mettono in prigione. Fa niente se poi sono leghisti, quelli che ti segnalano. Fa niente se non sanno nemmeno che musica ascoltino.
  2. Perché non si guarisce, PULTROPPO. Presempio: uno può provare ad appassionarsi di ruspe ma, vuoi o non vuoi, a un certo punto ti piace il pesce. Se ti piace il pesce, cosa ti fotografi a fare, mezzo nudo, nel letto con una che è stata letto con tutti?
  3. Chiedere scusa e dire: “Non l’ho fatto apposta”. 

Certo, chi comanda è la religioncina cattolica travisata, causa di tumori intestinali, pancreatiti e casse di Maalox non si sa con quante A, o A+++, per pettinarsi lo stomaco e per ingiuriare l’avversario, come se fossimo in una partita.

Come se l’avversario andasse solo e sempre ingiuriato, screditato, offeso e denigrato, mentre ci vogliono 80 anni per restituire 49 milioni, rubati, di cui nessuno parla più.

 

In questo clima, se vogliamo chiamarlo clima e ammesso e non concesso si sia capito qualcosa, qual è la soluzione?

Nessuna. La situazione è quasi irreversibile, è una carrozzeria divorata dalla ruggine, dal tumore che corrode anche le parti sane, e non resta che rifugiarsi in bisarche che partono per l’estero, svuotando il patrimonio nazionale automobilistico, assistendo a scene su Facebook (si, esiste ancora, mentre Netlog non risulta più) di donne che ti scrivono dal Lago di Gardaland, per dirti che loro si che sanno tutto, che lavorano con l’ASI, che qua e che soprattutto non si sa come siano lì. E che intanto divorziano dai loro compagni, chissà come mai.

Leggere le passioni inconsce di cui sopra, e non perché uno debba sempre fare il finocchio con o senza portafoglio. Degli altri E NON.

 

In questo clima, il rischio è essere in carriera a suon di vendite all’estero, fregandosene di un Paese senza più nemmeno l’ombra della perduta FCA, oppure parlare solo con personaggi con la barba che vengono a vedere la 924 di sabato mattina, la provano e la vogliono, poi dicono che era marcia, quando si è corretti e si dice loro che sia stata venduta, tra l’altro il giorno stesso della loro visita, del giro in città, a tutte le velocità, con caffè offerto e con volto sofferto, quando dal loro iPhone esce una 944 Turbo col lunotto fumé, lo spoiler verniciato e i cerchi del cazzo, perché i Dial fanno schifo e li ho messi via per rivenderli un giorno.

E poi scopri che anche loro, come il Duo di Piadena arrivato da Roma a fare sfoggio di sicumera e doppiogiochismo, sono commercianti.

 

Autoclassicissima: 2019. 

Non esiste, ma non si sa mai. Abbiamo ancora un mese e rotti, in tutti i sensi, di tempo.

Ora, i padiglioni, sono pieni di “Quanto può valere” e di altre domande, altre chimere, altri deficienti che si fanno fare i video emozionali dagli stageur non pagati, di barbe incolte, tatuaggi e altre cose che farebbero venire voglia di buttarsi sulle ruspe. 

Vorrebbero essere squali. Difficile abbiano la testa per essere sardine.

 

In ogni caso, tutta questa tiritera, è una storia inventata. 

 

Enzo Bollani | Milano, 21 novembre 2019.


Enzo Bollani

enzo.bollani@superposter.tv

Enzo Bollani nasce a Milano in una sera di maggio del 1981, quindi può definirsi un Youngtimer. Progettista, Musicista e organizzatore, ha esordito nel 1997 nel mondo della Televisione e della Discografia, lavorando principalmente in Rai e con artisti del calibro di Adriano Celentano, Lucio Dalla e David Bowie. Avrebbe voluto essere Architetto a tutti gli effetti, ma al momento disegna biciclette. Opera principalmente a Milano, ma è costantemente in movimento. Ha inventato questo simpatico sito, oltretutto.

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