Per Cinquecento volte, meglio la 500.
Sui dati tecnici, sulla gestazione e sulle vendite di questo modello, a dir poco tormentato, anche se nessuno lo ammetterà mai, si è già detto abbastanza.
Mai da farlo rimanere impresso nella famosa “memoria collettiva”, anche perché sta letteralmente scomparendo dalle strade, senza lasciare grandi rimpianti.
I motivi sono almeno Cinquecento, ma ne basta soprattutto uno: non avrebbe mai dovuto chiamarsi Cinquecento.
Per anni, le testate specializzate identificavano la vetturetta in questione prima come “Topolino”, a inizio anni ’80, e poi come “Micro”, dal 1987 in poi.
Fu un fantasma che aleggiò per tutti gli anni ’80, o Ottanta, per rimanere in tema letterale, tardando varie volte la sua uscita, facendosi desiderare, ma senza esagerazioni, perché c’era già la Panda, che andava benissimo e piaceva a tutti.
E, se proprio la Panda doveva impegnarsi a piacere di più, c’era la Y10, che piace alla gente che piace, da Rud Gullit a Heather Parisi, da Sergio Castellitto a Gino Paoli, lo stesso al quale poi piacque la Cinquecento, o il bonifico per dedicarle una canzone che, ascoltata oggi, sembra fatta con le basi per il Canta Tu, midi e plasticose, come quasi tutto quello che uscì nell’anno di Tangentopoli, l’anno che sancì la chiusura degli anni ’80, di cui non sarebbe rimasto molto, e che dette il benvenuto ufficiale in un decennio privo di slanci, senza allegria, almeno fino all’arrivo della Smart.
Quindi, se la Cinquecento fu un flop di successo, o un successo a metà, o un successo per automatismo, per inerzia, per forza di cose e per forza di forza vendita FIAT, lo si deve ai continui rinvii, ai continui cambi di nome e, soprattutto, a un altro dato essenziale: non era fatta per l’Italia, ma per la Polonia. Made in Poland, ma non popolare come Giovanni Paolo II, e nemmeno in grado di superare la simpatia della 126, ancora amata dai polacchi, chiamata “Bambino”, in gergo locale, inevitabilmente divenuta oggetto di culto, pur rubando i copriruota alla Cinquecento, nell’edizione finale, del 2000.
La Cinquecento, arrivata all’alba di un decennio sciapo, se non triste, fu solo l’onda lunga di concetti espressi agli inizi degli anni ’70, sul tema delle vetturette da città, e degli anni ’70, per non dire ’60, ereditava molti componenti, sotto il cofano.
Debuttò, infatti, con il 703 e con il 903, ancora ad aste e bilancieri, ancora di derivazione Fiat 850 e Fiat 127. Un dinosauro, anche se la Twingo, sua concorrente d’Oltralpe, non fu assolutamente da meno, montando ancora i motori della Renault 5 del ’72, ma sotto una carrozzeria davvero avveniristica, per l’epoca, con colori e interni molto simpatici, frizzanti, allegri.
Aprendo una parentesi sulla Twingo: Beppe Grillo disse che consumava come un TIR, e aveva ragione, ma piacque molto a Mitterand, e vendette tantissimo, anche in Italia.
Il contrario della Cinquecento, insomma, che sembrava veramente una macchina da poveri, con interni color tristezza, a righe, un cruscottino che voleva essere la versione mignon della Tipo, ma senza l’entusiasmo del Digit, senza savoir faire, senza voglia e senza testa, senza qualità.
Una tristezza incommensurabile, quindi, a parte una leggera virata nel ’93, con la Sporting. Ma niente di più.
La Sporting piacque perché era una piccola bomba, e ricordava più le piccole giapponesi, che le piccole italiane stile Abarth. Mancava solo montasse un 660, per essere nipponicamente pura.
Infatti, ancora oggi, piace in Giappone. Ma soltanto in quella versione.
Non bastarono, quindi, le Suite, i restyling del ’95 e i vari ripescaggi di allestimenti da chiamare Young. La Cinquecento era brutta, e rimane brutta. Inesistente, dal punto di vista collezionistico.
Forse, nel ’92, anziché coprire di soldi Tre cantanti, sarebbe bastato chiamare Alessandro Canino, e chiedergli di prestare “Brutta”, per il lancio di questa scatoletta da Est Europa a cavallo tra Maastricht e le cadute dei muri.
Sarebbe stato più onesto, ma i grillini non esistevano ancora.
Sarebbe stato più simpatico, e il pubblico avrebbe trovato molto ironica una scelta del genere. Forse.
Invece, per mesi e mesi, in quel ’92 veramente brutto, toccò sorbirsi delle nenie melense, delle lagne mortali, scritte ad hoc per questo aborto con le ruote, purtroppo mai abortito:
Eugenio Finardi ci ammorbò con un pezzo da suicidio, senza mezzi termini, così come toccò a Enrico Ruggeri, leggermente più rock, unico del trittico a non apparire nello spot, e al già citato Gino Paoli, che risultò il più giovane e originale, ma anche l’unico vagamente allegro. Tra l’altro, nello spot con Gino Paoli, appaiono Due ragazze intente a scattarsi un selfie, con la Polaroid.
Conoscendo la barzelletta che Paoli si diverte spesso a raccontare, sulla Panda, viene ancora più da ridere, perché si coglie anche l’ironia che ha messo in questa canzone scritta sicuramente di getto, preparata in studio alla velocità della luce, con l’arrangiamento del karaoke, che tra l’altro avrebbe debuttato di lì a pochi mesi, con un ancora sconosciuto Fiorello.
Forse perché Genova, molto più di Milano, è la città del Futuro, anticipatrice volontaria e involontaria.
E se in città la musica è cambiata, e quella città rimane senza dubbio Milano, bisognerebbe vedere come: il 1992 è stato Annus Horribilis, per la Regina Elisabetta, ma non meno per la nostra nazione e per il Sistema italiano: un disastro, sotto ogni profilo: dai soldi nel pouf, alle monetine lanciate fuori dal Raphael, a Roma, contro la Thema di Craxi.
Un anno di dirette di Emilio Fede, già record man per la Guerra del Golfo, e Paolo Brosio, non ancora folgorato dalla Madonna, in perenne attesa di sciagure, fuori dal Palazzo di Giustizia, con il 27 che gli sfreccia davanti o dietro, ancora arancione, mischiato ai taxi gialli. Gli stessi che appaiono nello spot dell’ex Decibel, Enrico Ruggeri, della Cinquecento, che parla di soldi, di conti da pagare, di Cin Cin a non si sa bene cosa, se non a una musica brutta, a una sinfonia tragica come quella degli anni ’90, che non a caso non riescono a essere così ben mitizzati, e non riescono a soppiantare sul serio gli anni ’80, in cima alle preferenze delle nostalgie, da più di 10 anni.
Non è mai toccato ad alcun decennio, un ritorno così. Forse nemmeno ai ’60, facendo bene i conti.
E tornando a fare i conti, nessuno dei cantanti in questione è rimasto coerente come Gino Paoli, oltre al rimanere e basta.
Di Eugenio Finardi abbiamo sporadiche apparizioni a Sanremo, e canzoni che non entrano in classifica nemmeno con la forza di volontà di Lara Croft.
Di Enrico Ruggeri, sappiamo aver rifondato i Decibel, ma forse sarebbe stato meglio non tirarli fuori dal cassetto, perché persino i Canton hanno saputo fare di meglio. E i Canton, lo sappiamo tutti, sono anche un’invenzione di Ruggeri.
Gino Paoli, invece, bravissimo a fare i conti, magari un po’ meno bravissimo in altre cose, perché le donne gli hanno sempre procurato dolori, è rimasto Gino Paoli.
Magari è difficile vederlo scendere da una Y10, o passare di fianco a una Cinquecento, ma non vuol dire quasi niente: lui c’è, e pare ci sarà. Si spera a lungo.
Oggi, la FIAT, conta su Fabio Rovazzi, che prima deve salvare le Panda, poi la deve rottamare per andare a fare le rapine, dovendo preferire un altro aborto stile Cinquecento: la Tipo.
Un’altra cosa non identificata, nata in Turchia, studiata per mercati lontani da noi, eppure chiamata ancora una volta con un nome inadatto, che non rende giustizia alla vera Tipo, come la Cinquecento non ha mai reso giustizia alla 500, e questo lo sanno tutti. Persino in FIAT, o FCA, in Olanda od ovunque sia.
Per concludere, 500 vroom vroom, citando Elio e le Storie Tese.
“Cinquecento, coi tuoi problemi di avviamento”…
Enzo Bollani | Cernobbio, 10 marzo 2019.