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Non è la prima volta – Superposter
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la 24 Ore di Le Mans del '68

Non è la prima volta

Il ’68, come il 2020, è stato un anno di svolta. Nel bene e nel male, come in tutte le svolte degne di chiamarsi svolte.

Parigi era a soqquadro, per le rivolte del Maggio francese, per quei disordini sociali che oggi, tanto per cambiare, sognerebbero molti dei sindacati ancora esistenti, in Italia. Per fortuna, esistono, ma forse sono rimasti là, e non si rendono conto che la produzione non possa e non debba essere bloccata, perché altrimenti ci sarebbero disordini sociali, in questo clima già teso e di apprensione, per un virus nato in Cina e tenuto nascosto dalla dittatura, non importa se comunista o chissà che, perché di comunista ha ben poco, di progressista non ha nemmeno una virgola, e di fascista ha molto, essendo dittatura. Insomma, di differenza, tra dittature nere o rosse, non ce ne sono molte, se non per una maggiore sdoganabilità di quella rossa, in nome di concetti puramente Sessantottini e dietro il paravento di una grande ideologia, dimostrabilmente fallimentare e tramontata, ma rediviva, grazie alle flebo.

Allora, come oggi, molti eventi importanti, molti appuntamenti e riti sociali vennero spostati di diversi mesi, e fu il caso anche della 24 Ore di Le Mans, che si tenne a settembre, quindi ben Quattro mesi dopo, e con un grande assente, grande nemico del comunismo, pur essendo nato in una terra rossa, fortunatamente più per retaggio culturale e proto-cattolico, che in senso profondo, perché non risultano circolare molte Zaz, Volga o Lada 2105 Zigulì, anzi. E chi potrebbe essere questo grande assente, se non Enzo Ferrari?

la Ford GT40, dominatrice a Le Mans, nel ’68.

La Ferrari di allora era come l’Italia di oggi, ricattabile e dissestata, economicamente devastata da spese eccessive per sostenere la sua presenza in Formula 1 e Formula 2, altresì fondamentali per la vendita dei modelli in serie e per le fuoriserie, che ancora erano ben lungi dal chiamarsi one-off, ma che erano molte, in capo a un anno.

Ferrari era stato capace di costruire una rete straordinaria, ben superiore rispetto alla rete politica ed economica costruita dalla Fiat in 50 anni, ma la Fiat di allora era qualcosa di paragonabile all’Europa di oggi, e poteva permettersi di fagocitare qualsiasi altra azienda, qualsiasi cosa succedesse, in Italia, e che fosse di suo interesse. Se la Fiat non fosse stata a Torino, ma a Milano o Bologna, probabilmente sarebbe stata capace persino di anticipare qualsiasi iniziativa di contrapposizione d’impresa alla TV di Stato, anche solo per vendere le sue automobili e risparmiare sulle spese pubblicitarie. L’ha fatto, ma solo con i giornali, con la carta stampata, per un concetto di sobrietà molto sabaudo.

Fiat, nel 1968, significava 500, 600, 850 e 124.

Ferrari era un affabulatore, un genio, un comunicatore e soprattutto un sognatore, con anni di gavetta alle spalle, di fatiche e anche di sofferenze. Nel 1968, dolorosamente, ha dovuto rinunciare a Le Mans, come alla 1000 km di Monza, di cui vedete la foto in copertina, lasciando che vincesse Ford. L’anno dopo, nel 1969, la Ferrari è passata in mano alla Fiat, che quantomeno ha saputo rispettare sempre le scelte del Drake, o quasi sempre. Qualche compromesso lo si è dovuto accettare, come il cedere il motore della Dino, come il mescolare componenti apparentemente minori, ma la fortuna e la capacità soprattutto del Drake è stata quella di sapere imporsi, sulla dirigenza Fiat. Sembra di parlare dell’Italia, nel parlare della Ferrari, e la Fiat appare come l’Europa di oggi, rassicurante da un lato, oppressiva e pericolosa dall’altro.

Di tutte le aziende assorbite dal Lingotto, nessuna ha avuto un futuro roseo o garantito, ad eccezione della Ferrari. Nemmeno Alfa Romeo, che sapeva fare i guanti alle mosche, come diceva Enzo Ferrari, e nemmeno la Lancia di un altro grande anticipatore, come Vincenzo Lancia. Per non parlare di Innocenti, autentica strage, di OM e di innumerevoli altre aziende.

Come da titolo di queste righe, non è la prima volta che un intervento politico inaspettato, o un virus, spostano qualcosa e spostano l’asse delle certezze sociali. Come non è la prima volta che assistiamo a rinunce, e anche un intervento apparentemente ristretto a un’azienda, non è che lo specchio di qualcosa di molto più ampio, di riproducibile in scale molto più estese.

Saltare un giro al Monopoli vuol dire molto, o può influire molto sul risultato, in continuo divenire, di un gioco molto più grande, ma sostanzialmente con le stesse identiche regole.

I disordini di Valle Giulia, a Roma. Il 1968, in Italia, parte da qui.

Quindi, se pensare al ’68 può indurre erroneamente ad associarlo a una libertà di costumi, che già era stata conquistata dagli anni Cinquanta, e negli anni del Boom, prima del ’64 e della breve crisi di quell’anno, dove Aldo Moro dimostrò di essere il miglior politico sulla piazza (ed inevitabilmente fatto sparire, alla prima occasione), è anche vero che il ’68 sia osservabile anche da questo lato, dal quale nessuno lo guarda mai. Il ’68 ha voluto dire scontri, lotte sociali, discussioni sterili e soprattutto la volontà di sradicare certezze, e il parallelismo con il 2020 è così ampio da non bastare a queste poche righe, anche se oggi siamo tutti in casa, anziché in piazza, visto che la piazza è rappresentata dai social, al collasso quanto gli ospedali, perché i server sono a rischio fusione, per fortuna non nucleare, ma capace di scatenare disordini. Difficile immaginare che il singolo mantenga aplomb e calma, se saltasse Facebook, se saltasse Instagram e se saltasse WhatsApp, veri punti cardine di ogni nostra comunicazione, nessuna esclusa.

Una Deesse e qualcosa di più di Due Cavalli, in balia degli eventi di Valle Giulia.

Nel ’68, come oggi, molte aziende stavano rischiando la chiusura, chi per un motivo, chi per un altro, e Ferrari era tra quelle. Il virus era l’illusione di abbattere regole necessarie a mantenere la Libertà, mentre oggi è la negazione della Libertà attraverso la minaccia di una patologia, di una pandemia che non è altro che una certezza ciclica, dato che solo Cent’anni fa, grazie a una guerra senza senso, come tutte le altre, un’altra ecatombe venne innescata dall’omertà, su un fronte di guerra non meno di guerra del fronte economico.

Il Sindacalista, di Luciano Salce. Con Lando Buzzanca e Gino Santercole.

Per capire meglio il fenomeno dei sindacati, poi, sarebbe utile guardare un film di cui non parla mai nessuno: “Il Sindacalista”, con Lando Buzzanca e Renzo Montagnani.

Enzo Bollani | Inverigo, 23 Marzo 2020.

Enzo Bollani

enzo.bollani@superposter.tv

Enzo Bollani nasce a Milano in una sera di maggio del 1981, quindi può definirsi un Youngtimer. Progettista, Musicista e organizzatore, ha esordito nel 1997 nel mondo della Televisione e della Discografia, lavorando principalmente in Rai e con artisti del calibro di Adriano Celentano, Lucio Dalla e David Bowie. Avrebbe voluto essere Architetto a tutti gli effetti, ma al momento disegna biciclette. Opera principalmente a Milano, ma è costantemente in movimento. Ha inventato questo simpatico sito, oltretutto.

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