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UK is not so OK: Rover SD1 – Superposter
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Rover SD1

UK is not so OK: Rover SD1

“The right car made by the wrong company”: calza a pennello questa definizione della Rover SD1 coniata da un programma motoristico britannico. Quale? Indovinate.


La SD1 (Special Division model 1) era intrinsecamente un’auto fantastica. Una linea mozzafiato, avveniristica, che finalmente sfruttava le linee guida della BMC Pininfarina 1800 dopo che mezzo mondo, Citroën in testa, ne aveva fatto tesoro. In effetti era inevitabile che che la linea a due volumi e tre luci laterali non ricordasse la Citroën CX, ma a differenza di quest’ultima, la SD1 aveva un ampio portellone: un azzardo non da poco nel settore delle berline di prestigio, tanto più rivolto ad una clientela assai tradizionalista, automobilisticamente bigotta, come quella inglese.


Eppure, la SD1 piacque, sia alla stampa che la elesse “Auto dell’Anno 1977”, sia alla clientela, tanto più che all’inizio i tempi di consegna erano di almeno Cinque mesi. Sicuramente gran parte del merito andava alla linea di David Bache, che ammise candidamente di aver preso ispirazione dalla Ferrari Daytona per la sezione frontale.

Anche l’abitacolo segnava una rottura con le Rover del passato, con la rinuncia ad ogni parvenza di cromo o di legno pregiato in favore di un lago impiego di plastica, incastonata in un design assai inconsueto, come inconsueta era la plancia, intelligentemente simmetrica in modo da trasferire cruscotto e volante a destra o a sinistra a seconda del mercato di esportazione senza dover riprogettare la plancia intera. A tanta rivoluzione estetica, meccanica ultratradizionale: trazione posteriore con sospensioni posteriori ad assale rigido, impianto frenante misto, motore otto cilindri a V alimentato a due carburatori SU con potenza di 155 CV: sicuramente non molti per un Tre litri e mezzo, ma quantomeno era molto affidabile.


Purtroppo, il resto della macchina non lo era per nulla: la fabbrica di Solihull dove era assemblata, minata da scioperi continui, assicurava standard qualitativi tremendi: la SD1, che pure non costava poco, era affetta da ogni genere di guasto elettrico e difetto di finitura.

La qualità di verniciatura e dei materiali dell’interno, si rivelò nel tempo semplicemente pietosa. 
La Rover corse ai ripari, prima ampliando la gamma verso il basso con le più economiche 2300 e 2600 dotate del robusto sei cilindri in linea Triumph, poi verso l’alto con la esclusiva V8-S, con dotazione ultracompleta di accessori e potenza aumentata a 160 CV.

Alla fine si decise a spostare la produzione nella più efficiente fabbrica Triumph di Cowley, nonostante questo le vendite avevano già preso una china discendente a causa della pessima fama dei primi modelli. 
Il restyling del 1982 diede nuova linfa alla SD1, che grazie ad un estetica affinata e ad un abitacolo ridisegnato e finalmente degno del marchio, in cui non si faceva risparmio di pelli e legni pregiati a seconda delle versioni, era diventata finalmente un’ammiraglia degna di questo nome, seppur non ancora del tutto esente da problemi qualitativi.

Mentre la gamma veniva ampliata con la “2000” a quattro cilindri, che ebbe un timido successo in quei paesi dove le sei e otto cilindri non avevano conosciuto grande successo a causa dell’alta fiscalità (come l’Italia) e la 2400 turbo diesel motorizzata dalla italiana VM, il top di gamma era rappresentato dalla Vanden Plas con motore 3500 e finiture interne extra lusso: sedili in pelle, tetto apribile elettrico, clima, computer di bordo.

L’anno successivo arrivò la Vitesse, con look e finiture sportive ed un V8 finalmente alimentato ad iniezione elettronica da 192 CV, pensata soprattutto per il locale campionato velocità turismo. A fine 1984, anche la Vanden Plas venne proposta con la meccanica Vitesse da 192 CV: questa versione fu di fatto il canto del cigno per una vettura che mancò gli obiettivi nonostante le sue tante doti, prima fra tutte la bellezza mozzafiato.

Antonio Cabras | Milano, 13 marzo 2020.

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