L’auto della settimana – Leyland Innocenti Mini 1001 Export
La Mini fabbricata a Lambrate dalla Innocenti era – come ribadito più volte ed ammesso a denti stretti dagli stessi inglesi – superiore in tutto all’originale inglese: qualità di montaggio, materiali, accessori, finiture, affidabilità, potenza ed efficienza meccanica, e appagava maggiormente l’occhio anche dal punto di vista estetico.L’apice dell’evoluzione della Mini classica fu la serie “Export” lanciata nel 1973, ovvero quando la Innocenti divenne “Leyland Innocenti” in seguito alla fusione completa col disastrato gruppo automobilistico inglese (che difatti sarebbe andato a gambe all’aria due anni più tardi coinvolgendo nel crollo la stessa Innocenti), che decise di aumentare la produzione per esportare l’elegante e potente utilitaria italiana in tutti i paesi europei (salvo ovviamente i paesi appartenenti al Commonwealth, che dovevano continuare a cuccarsi le sempre più trasandate Mini britanniche compresa la mai apprezzata Clubman). ù
La gamma Export ricomprendeva:
- la MIni 1000 (derivata strettamente dalla Mini Minor MK3 del 1970, rispetto alla quale differiva per la nuova mascherina, i fanali posteriori con luce di retro, le sospensioni con coni in gomma al posto delle controverse Hydrolastic e – soprattutto – per il motore 998 cm3 derivato dalla Cooper 1.0, molto più potente rispetto al propulsore inglese di pari cilindrata (49 cv DIN invece di 38).
- La MiniMatic, identica alla 1000 ma col cambio automatico a tre velocità di serie
- La Mini 1001 (versione di lusso, meccanicamente identica alla 1000 ma con diverse coppe ruota bicolore, cornici cromate alle portiere, ed un interno molto ben rifinito con: moquette coordinata coi sedili, volante in legno a calice Hellebore, cruscotto e pomello cambio in legno, cuffia cambio e freno a mano in pelle, sedili misto fintapelle – tessuto, accendisigari, lavavetro elettrico, maniglie di appiglio per i passeggeri posteriori.
- La Mini Cooper 1300, il gioiello di Lambrate tanto invidiato dagli inglesi ormai privi della Mini Cooper originale per via della fine del contratto col costruttore John Cooper: le finiture interne erano simili a quelle, lussuose, della 1001, ma i sedili anteriori erano più profilati, il volante sportivo Hellebore con impugnatura in pelle e il cruscotto aveva sei elementi comprensivi di contagiri ed amperometro. Riconoscibile esteticamente dalla verniciatura bicolore, dai cerchi sportivi Rostyle bicolore e dallo scarico posteriore con uscita centrale, la Cooper giocava le sue carte migliori nella parte meccanica: motore 1275 cm3 da 66 cv DIN, doppio carburatore, freni anteriori a disco con servofreno, radiatore dell’olio, il tutto per una velocità massima di 160 km/h: una bomba.
La produzione andò avanti fino al 1975, anche se le ultime Cooper furono assemblate nel 1976. Da lì in poi, le Mini classiche importate in Italia sarebbero state di costruzione inglese, a parte una breve parentesi spagnola.
La vettura del disegno è una 1001 Export, la variante raffinata delle Mini italiane. Meno esasperata della Cooper e meno celebrata (come dimostra l’abissale differenza di quotazione odierna) aveva fra i suoi pregi la maggior semplicità meccanica e l’economia di esercizio, che la rendeva una vettura ideale per l’uso quotidiano in città. Inoltre il largo impiego di legno vero per gli interni la rende una delle prime vere “piccole di lusso” che un tempo erano appannaggio dei piccoli elaboratori. Una macchina meravigliosa.
Antonio Cabras | Milano, 28 febbraio 2020.