Opel Tigra: buona la prima!
Il mercato automobilistico, ne abbiamo già parlato, vive di tendenze. Alcune effimere, altre ben più durature.
Fra quelle durature, possiamo certamente ricomprendere quella dei SUV, piccoli medi microscopici o enormi che siano, tendenza di cui onestamente non si vede una fine. A mio giudizio, la suvizzazione dell’automobile è andata oltre il punto di non ritorno, e ormai l’automobile moderna in se stessa è concepita in questo modo: alta, aggressiva, e con ruote enormi. Mettetevi il cuore in pace, ‘che risparmiate fatica.
Poi, ci sono le mode effimere, dalla consistenza (e durata) pari a quella di una flatulenza in una giornata ventosa. Nella prima metà degli anni ottanta, ad esempio, ci fu un vertiginoso aumento di interesse per le tre volumi medio piccole, cosa che innanzitutto premiava nelle vendite certi modelli a scapito dei corrispondenti a due volumi (è il caso della Lancia Prisma, che dopo il lancio vendeva il triplo della Delta da cui derivava, o della Fiat Regata, per cui a Torino si impegnarono obiettivamente come matti per celare la parentela con la Ritmo) e che come danno collaterale portò alla nascita di modelli che, a vederli oggi, suscitano esigenze di espletamento corporale improvviso: Ford Orion, Opel Corsa TR, e ovviamente lei, la brutta per eccellenza: la Fiat Duna.
Esaurita (almeno in Italia) questa strana tendenza, le due volumi ricominciarono a prendersi tutta la scena, costituendo la prima scelta per le più disparate fasce d’utenza. È d’uopo ricordare che, nel decennio precedente, le due volumi compatte furono le principali artefici della pressoché totale scomparsa delle coupé medio-piccole, che avevano sempre potuto contare su una nicchia stabile di appassionati. Così, la Fiat non aveva sostituito la 128 Coupé, dopo aver cercato inutilmente di rivitalizzare il progetto con l’adozione del portellone, mentre l’Alfa Romeo aveva tenuto in vita la mai apprezzatissima Alfasud Sprint fino alla fine degli anni ’80 solo perché la quasi totalità degli esemplari veniva esportata. Ma non andava meglio in Volkswagen, dove la pur interessante Scirocco vendeva quantità ridicole in confronto alla Golf da cui derivava, e questo nonostante nella coupé il motore GTI si esaltasse in maniera ancora maggiore.
In questo clima di calma piatta, nel 1994 l’Opel, casa di anima ultraconservatrice ma da qualche anno impegnata in un’opera strenua di ringiovanimento d’immagine, presenta la Tigra. È una coupé piccola, molto piccola, e ha una linea completamente nuova, simpatica e del tutto originale, specie al posteriore, con un lunotto a conchiglia che cinge praticamente l’intera parte posteriore.
La costruiscono in Spagna, ed è su base Corsa B. Il che è evidente soprattutto dentro: la plancia è la stessa, così i sedili e tanti altri particolari piccoli e grandi. Ma in pochi trovano da ridire, innanzitutto perché il design è ottimo e si sposa bene con le linee della nuova coupé, in secondo luogo perché gli assemblaggi sono più che decenti. A rendere ancor più sfiziosa la Tigra, i motori: sono solo due, ma entrambi plurivalvole. 1.4 e 1.6 EcoTech di derivazione Corsa GSI, con potenza rispettivamente di 90 e 106 CV. Il primo supera agevolmente i 190, il secondo di gran lunga i 200, in corpo vettura che pesa meno di una tonnellata. Sono numeri che ingolosiscono i giovani potenziali acquirenti.
Insomma: nonostante la formula sostanzialmente nuova – almeno in quel preciso momento storico – e la scomodità rispetto alla Corsa di un abitacolo i cui passeggeri posteriori avrebbero dovuto farsi segare la testa all’altezza del collo nel caso in cui avessero superato il metro e 60 d’altezza, la Tigra piace molto, e comincia ad essere un vero e proprio fenomeno commerciale, tanto più che le altre case non hanno niente di simile: la Fiat Coupé è di dimensioni e motorizzazione ben maggiore, mentre la nuova Renault Megane Coach è un coupé soprattutto comodo, quasi tranquillizzante. Per contrastare il successo della Tigra, la Toyota comincia ad importare la Paseo, dalla linea emozionante quanto una cabina della Telecom, mentre la coreana Hyundai Coupé è un prodotto interessante ma ancora poco conosciuto.
E mentre anche in Italia -tanto per cambiare – si sta a guardare, nonostante un interessante prototipo di Bertone (la Racer) su base Punto Cabriolet, la Tigra spadroneggia sul mercato. L’unica vera avversaria, concepita con il mai celato proposito di contrastarne il successo, nasce troppo tardi, nel 1997: la Ford Puma è bella, più bassa della Tigra, sfrutta le stesse economie di scala (pianale, motori e gran parte dell’abitacolo derivano dalla Fiesta) e un attento studio della telaistica consente un feeling di guida maggiore rispetto alla Tigra, che dal canto suo è molto reattiva e maneggevole per via del passo cortissimo, ma anche meno controllabile al limite (se vi state chiedendo perché oggi si incontrano pochissime Tigra per strada, sapete la risposta: quasi tutte hanno preso il volo terminando la loro carriera fra le fronde di un platano…)
Benché ci fossero tutte le premesse per un enorme riscontro presso il pubblico giovane (e uno spot ricavato dalle sequenze di Bullitt con Steve McQueen, veramente favoloso), la tardiva Puma non decolla mai e viene tolta di mezzo nel 2001, dopo soli quattro anni e 120.000 esemplari venduti. La rivale della Opel, invece, totalizza un numero più che doppio (250.000 circa) e soprattutto nel corso dei sette anni di produzione riceve solo aggiornamenti marginali: pomello del cambio, disegno dei cerchi e pochissimo altro. La Tigra è una vera protagonista degli anni novanta italiani, soprattutto dei sabato sera, e riscuotono l’ammirazione e l’invidia di quei giovani che, acquistando la classica Punto, hanno preferito l’opzione più “pratica”. La Tigra che maggiormente incontra il favore dei giovani italiani è, ovviamente, la 1.4, che già offre prestazioni più che soddisfacenti. I kamikaze che acquistano la 1.6, invece, oltre che l’ammirazione del popolo della notte, ottengono la possibilità di poter competere con le coeve bare a due volumi come Punto GT e Clio 16V: più che gare di velocità, sono gare di sopravvivenza.
Gli anni passarono, passò anche la boa del nuovo millennio, e la stagione dei piccoli coupé inaugurata dalla Tigra, in pratica morì con essa. Il suo nome venne riesumato qualche anno dopo per una compatta “coupé cabriolet” dalla linea non particolarmente felice e che venne sostanzialmente ignorata dalla clientela.
La Ford invece ha di recente riproposto il nome “Puma” per un moderno urban crossover (sigh) molto al passo coi tempi.
Il che è una morte un po’ peggiore, come diceva Guccini.
Antonio Cabras | Milano, 10 gennaio 2020.