Maruti Suzuki 800: la piccola indiana con gli occhi a mandorla
C’è stato un periodo (che in realtà continua tutt’ora) in cui India e Giappone sono state molto più vicine di quanto pensate. Molto più di quanto possa apparire dalle cartine o da Google Maps. Se credete che abbia bisogno di ripetizioni in geografia, beh, prima leggete questa storia.
LA MACCHINA PER IL POPOLO INDIANO
Dobbiamo tornare agli inizi di quegli anni ottanta spesso richiamati da Superpista: già allora l’India era la seconda nazione più popolosa al mondo, con quasi 800 milioni di abitanti, la maggior parte dei quali per gli spostamenti si affidava agli autobus, ai risciò o nella migliore delle ipotesi alle motociclette. Era necessario un mezzo di trasporto in grado di ospitare comodamente quattro o cinque persone, che fosse pratico e allo stesso tempo accessibile alla famiglia media indiana. Era tempo di trovare ciò che fu la 600 per il nostro Paese: la macchina capace di mettere in moto il popolo. Con l’intenzione di dare atto a questo proposito, nel 1981 il governo di Nuova Delhi fondò la Maruti Udyog Limited.
L’ACCORDO CON SUZUKI
Sviluppare da zero un’automobile completamente nuova era un’impresa fuori portata: c’era bisogno di un collaboratore che fornisse know-how e una base di partenza, così l’anno successivo venne siglato un accordo di joint venture con la Suzuki, che entrava nella società con una consistente quota di partecipazione. Il primo modello a uscire dalla catena di montaggio della neonata Maruti fu la 800. In pratica la casa giapponese esportava le sue Alto in India, dove finivano di essere assemblate con l’aggiunta di nuove targhette identificative e un inedito badge sul cofano: fu un successo clamoroso e nel giro di poco la 800 divenne la macchina più venduta in tutta la nazione. Facile direte: d’altronde l’unica vera concorrente era la Hindustan Ambassador, la versione indiana della Morris Oxford Serie III che nel 1981 aveva appena compiuto ventitre anni. Avete ragione, il punto è che la piccola Maruti si tenne questo primato fino al 2004.
LA CORSA ALL’EUROPA
Improvvisamente tutti, o quasi, potevano permettersi un’auto e le ordinazioni mandarono in crisi le tempistiche di realizzazione. Cominciarono a profilarsi liste di attesa infinite, che richiedevano fino a tre anni per la consegna. Sulla travolgente onda dell’entusiasmo, iniziarono le esportazioni della vettura negli Stati limitrofi e in alcuni Paesi della cortina di ferro: l’Ungheria, la Cecoslovacchia, oltre che la Jugoslavia. Il balzo significativo venne mosso sul finire degli anni ottanta, con la presentazione della 800 in Francia. L’assalto all’Europa fu completato nel 1990, con la messa a listino della Maruti nei Paesi Bassi, in Inghilterra e dulcis in fundo, in Italia.
LE CARATTERISTICHE
La minuscola Suzuki indiana non era di certo bella da vedere fuori, e vista da dentro, se possibile era anche peggio, motivo per cui oggi viene ricordata con un generale senso di ilarità e sfottò. Ma i suoi punti di forza erano altri: su tutti la versatilità, la semplicità e la robustezza. Il piccolo tre cilindri 796cc da 35 cavalli era rumoroso come un trattore ma sufficiente a spingere i 640 kilogrammi della vettura per le strade della città, dove riusciva a muoversi agilmente grazie alle sue misure da keicar (3 metri e 30 di lunghezza, addirittura più corta della Panda e della Innocenti Small 990). Il cambio manuale a quattro marce, abbinato alle sospensioni morbide, offriva un’esperienza di guida stile go-kart, ma innalzava sensibilmente i consumi sulle tratte autostradali e sulle lunghe percorrenze. Alla compattezza delle dimensioni e del motore, si univa la praticità delle cinque porte, che non venivano offerte da nessun’altra concorrente di quel segmento. Il bagagliaio non era particolarmente generoso (e non era illuminato), ma il divanetto posteriore sdoppiabile e abbattibile garantiva lo spazio necessario a rendere la Maruti una sorta di mini van in miniatura.
Tre le versioni al lancio: la base, ridotta al minimo indispensabile, la De Luxe che montava il climatizzatore di serie e la fin troppo eccessiva Super De Luxe, che da un lato aggiungeva i sedili in pelle alla dotazione e dall’altro non prevedeva né il servosterzo, né la spia della riserva carburante. Ciononostante, con un prezzo compreso fra gli 8 e i 10 milioni, la macchinina indiana vantava un invidiabile rapporto qualità-prezzo. Era fra le utilitarie più economiche nel nostro mercato dietro la Fiat 126, ormai a fine vita dopo diciotto anni di onorata carriera, la Seat Marbella (che era una Panda che aveva tradito l’Italia) e la Innocenti Koral, che in questo caso offriva molto di meno e niente di più (a parte i cerchi in lega fighetti). Contro ogni pronostico, la Maruti Suzuki seppe scalare posizioni nella classifica delle citycar più vendute in Italia nella prima metà degli anni novanta, fino a posizionarsi sul gradino più basso del podio, alle spalle della sempreverde Panda e dell’ultima compatta di casa Fiat: la brutta Cinquecento polacca. La 800 scomparve insieme a tutto il marchio Maruti dai listini nostrani intorno ai primi anni duemila, quando ormai non poteva più soddisfare gli standard europei sulle emissioni.
Nella sua terra natale, continuò ad essere prodotta con qualche lieve modifica fino al 2011, anno in cui venne definitivamente sostituita dalla settima generazione della Alto, la A-Star. Nel frattempo la proprietà della Maruti era interamente passata sotto il controllo Suzuki. Il governo indiano era riuscito nell’intento di dare una macchina al popolo: il fatto che fosse più orientale che nazionale, alla fine poco importava.
Alessandro Giurelli | Roma, 29 novembre 2019.