Renault Safrane: occhiali a mascherina e sedili in pelle
Mentre stavo percorrendo il Grande Raccordo Anulare, l’anello che circonda la capitale, ho visto sbucarmi davanti l’auto che non ti aspetti, o meglio, che non sei più abituato a vedere, sempre che mai qualcuno lo sia stato. Eppure basta uno scorcio del posteriore a renderla immediatamente riconoscibile. I fari incassati nel vistoso fascione che si allunga per tutto il baule come degli occhiali a mascherina anni novanta non lasciano dubbi: è proprio una Safrane. Come in una pioggia di ricordi, mi sono tornate alla mente le immagini dei pomeriggi passati al parco a giocare con le Majorette. Ovviamente c’era anche lei in mezzo alle altre, oltre alla Peugeot 605 bianca e alla Citroen XM di quell’improbabile verdino che però a me piaceva tanto. Correva il 1998 quando, parafrasando Venditti, capì che la matematica non sarebbe mai potuta essere il mio mestiere: andavo in prima elementare. Il sabato era consuetudine che dopo la scuola, mamma mi portasse al negozietto di giocattoli dietro la piazza per scegliere una Majorette. Si trattava del momento che aspettavo da tutta la settimana e un rituale a cui non avrei rinunciato per nulla al mondo. Quell’enorme espositore giallo appariva come una torre dorata ai miei occhi di bambino, e mentre mi facevo aiutare a girarlo, decidevo con cura quale macchinina sarebbe entrata nel mio garage in miniatura. Il negoziante ci aveva ormai fatto l’abitudine, e mi sfidava a riconoscere tutti i modelli, curioso di scoprire quando sarei arrivato a topparne uno. Il sabato che trovai la Safrane, finalmente vinse lui. Eppure non era una cattiva auto, così come non lo erano le già citate Peugeot 605 e Citroen XM. Ma allora per quale motivo le ammiraglie francesi degli anni novanta furono un buco nell’acqua? Beh, le cause sono diverse e le risposte parecchie: su tutte la sfortuna.
IL CONTESTO
Prendiamo proprio la Safrane ad esempio. Nel periodo in cui Renault avviò il progetto finalizzato alla realizzazione dell’erede della 25, la casa della losanga stava attraversando un momento assai delicato: L’accordo stretto con la AMC nel 1978, era culminato col passaggio del marchio americano sotto la gestione della régie nationale che nel 1983 arrivò ad investire più di 90 milioni di dollari per tenerlo a galla. Renault si era garantita l’accesso al mercato “a stelle e strisce”, e cominciò a modificare le proprie Renault 9 e 11 per spedirle negli States sotto il nome di Alliance ed Encore. Ben presto emersero i primi problemi: la rete di distribuzione non era ben supportata e i difetti legati all’affidabilità delle vetture portarono a un significativo peggioramento dell’immagine della AMC, denaturata del suo carattere yankee.
A quel punto c’erano soltanto tre alternative per la Renault: poteva dichiarare il fallimento dell’AMC, al costo di perdere tutti gli investimenti già effettuati; poteva mettere più soldi sul piatto, rischiando di venire trascinata in una fossa senza fondo; oppure poteva mettere l’AMC in vendita, salvando il salvabile.
L’allora presidente della Renault, Georges Besse, optò per la linea del rischio, convinto in un futuro dell’azienda francese nel mercato Nordamericano. Vennero portati avanti consistenti investimenti per la costruzione di una nuova fabbrica in Canada, oltre a quelli necessari per il completamento della Bramalea Assemby, il più moderno e avanzato impianto di assemblaggio automobilistico in tutto il Paese. La necessità di fondi portò Besse ad estremi rimedi: il licenziamento in tronco di 25.000 lavoratori Renault. Il 17 novembre 1986 il presidente della régie venne assassinato dalla Action Directe: era la fine del sogno americano.
IL DESIGN
Nel 1992, anno di debutto della Safrane, i problemi economici non erano ancora del tutto risanati. La società nel frattempo era stata privatizzata e Volvo possedeva il 20% delle azioni. Rimpiazzare la 25 non era un compito facile: nonostante le difficoltà ad affermarsi nei mercati esteri, in quello nazionale l’ammiraglia di casa Renault si era ritagliata un posto soddisfacente, vendendo piuttosto bene. In fase di progettazione della nuova erede, gli ingegneri si concentrarono nel rimediare ai principali difetti della 25: l’eccessiva leggerezza e la conseguente fragilità della scocca. Per quanto riguardava il corpo vettura si decise di rimanere su una carrozzeria a due volumi e mezzo, caratterizzata da un inedito portellone posteriore (almeno per Renault dato che Fiat lo montò sulle sue Croma già a partire dal 1985). La Safrane si presentava più moderna rispetto all’antenata, con una linea decisamente più morbida, tondeggiante e sinuosa, che le valsero il premio francese di Auto più bella dell’anno 1992.
LA SICUREZZA E GLI INTERNI
Anche sul fronte della sicurezza vennero mossi passi importanti. La Safrane è stata la prima Renault a montare gli airbag di serie, oltre all’ABS (equipaggiato sulle versioni al top della gamma, a scelta per le altre). Il telaio rinforzato, da parte sua rendeva la vettura più rigida, a discapito però di un peso elevato. Per quanto riguarda il comportamento su strada, al modello furono riconosciute qualità importanti, come l’eccezionale stabilità, dovuta al passo lungo e alla buona ripartizione dei pesi, le sospensioni morbidissime in ogni condizione di fondo e uno sterzo agile e preciso. L’ abitacolo era più curato della 25, anche se meno originale: spazioso ed elegante, nella versione Baccara era arricchito da inserti in legno e dai sedili in pelle. Il cruscotto era all’avanguardia: al computer di bordo “parlante” (orgoglio della Casa dai tempi della 11), aggiungeva una folta e piuttosto complessa schiera di pulsanti. Quattordici di essi erano destinati alla gestione del climatizzatore, che poteva essere impostato separatamente tra lato destro e sinistro (a tutti gli effetti un bi-zona ante litteram). L’abitabilità era notevole e consentiva ai passeggeri un’ampia libertà di movimento. Il bagagliaio non era particolarmente capiente, ma il divano posteriore ribaltabile garantiva spazio ulteriore.
I MOTORI
Al momento del lancio in Italia nel 1993, la vettura aveva un prezzo base di 41.050 milioni (un’Alfa 164 Twin Spark costava 100 mila lire in più) ed era disponibile in tre sole motorizzazioni: 2.1 Turbodiesel 90 cavalli, 2.0 12v da 132 cavalli e l’assetato PRV 3.0i 12v V6 da 169 cavalli. Se quest’ultimo era oneroso in termini di consumi e di gestione (nel nostro Paese vigeva una tassazione maggiore per i motori sopra i 2000 cm³), gli altri due vennero criticati dalla stampa e dal pubblico a causa della loro scarsa potenza, soprattutto in termini di coppia. In alternativa al delicato cambio manuale a cinque rapporti, era possibile richiedere un automatico che però aveva la spiacevole tendenza a perdere il fluido di trasmissione sulla strada. La prima novità arrivò nel 1994, con l’introduzione della Biturbo nel listino. Il 3.0 V6 che la equipaggiava era un’evoluzione di quello montato sulla Alpine A610, una sportiva vera, elogiata da Henri Pescarolo e Jeremy Clarkson. I 262 cavalli scaricati dalla Biturbo sulle quattro ruote motrici, le permettevano di raggiungere i 250 km/h, con accelerazione 0-100 in sette secondi e due. Nonostante gli ottimi presupposti, neppure questa versione riuscì a fare breccia nel mercato europeo, dove la concorrenza tedesca la faceva da padrone (in misura minore anche le ammiraglie della “Craxi Era”, le “Tipo 4”, facevano la loro parte). Nel 1996, in occasione del lifting di metà carriera, vennero fatti alcuni accorgimenti, ridisegnando i fari posteriori che perdevano la caratteristica mascherina e introducendo un nuovo motore V6 di progettazione Renault. Venne introdotto pure un nuovo cambio automatico Aisin-Warner, che rimediava alle problematiche del primo. Le vendite tuttavia non riuscirono mai a decollare, nemmeno in Francia. Alle porte del nuovo millennio, la Safrane uscì silenziosamente dal listino, anche se le giacenze furono smaltite solamente nel 2001: aveva venduto meno della metà della 25. Nonostante la sua sfortunata carriera, la Safrane fu una macchina importante per Renault (la terza dopo la Fuego e la Clio a utilizzare un nome al posto della consueta denominazione numerica, a voler distaccare il marchio dagli stilemi del passato), che lasciò la sua linea pulita in eredità alla Laguna, oltre ad una serie di prerogative che diventeranno standard per le generazioni successive.
Alessandro Giurelli | Roma, 14 novembre 2019.