la Prinzimca: gli albori da brivido dell’ibrido.
Negli anni ottanta era già un cult suo malgrado, o per meglio dire, uno scult.
Il comico Carlo Pistarino (eheheh, chi se lo ricorda?) in quel piccolo paradiso di youngtimers e paillettes che rispondeva al nome di Drive In, ne aveva fatto l’oggetto di un suo numero – l’unico veramente divertente che ricordi, IMHO – mentre i mitici Gaspare e Zuzzurro avevano creato addirittura un ibrido: la Prinzimca, terribile veicolo sintesi della sfiga cosmica, metà Prinz e metà Simca 1000.
Cosa avesse fatto la NSU Prinz per meritarsi l’affezione dei cabarettisti anni ottanta, non è dato sapere. Certo, agli occhi di un giovane appassionato d’auto di quel periodo, la risposta era ben palese: una tragica bruttezza complessiva. Le ruote microscopiche rispetto alla linea di cintura alta e alle superfici vetrate estese soprattutto in verticale, gli sbalzi accentuati, i grandi fanali tondi ai margini del frontale che le davano un’espressione da rana allucinata, e l’inconfondibile frullio del bicilindrico raffreddato ad aria.
Eppure, ai suoi tempi, la linea della Prinz 4 non era malaccio: forse un po’ pretestuosa nel suo imitare lo stile della Chevrolet Corvair (cosa che la nostrana Fiat 1300 – 1500 riusciva a fare dignitosamente senza sembrare patetica), sicuramente ridondante, ma non certo priva di personalità, con soluzioni anche di una certa originalità per il periodo: uscì, è il caso di ricordarlo, nel 1961.
Economica nel prezzo d’acquisto, rifinita con cura come solo una tedesca poteva essere, e parecchio brillante in rapporto alla cilindrata (30 cavalli per 600 cm3 scarsi e una velocità massima di circa 120 orari: quanto bastava per disintegrare la nostra bicilindrica nazionale e fare vedere i sorci verdi anche alla sorella maggiore 600, che aveva un numero di cilindri doppio.
Quindi, all’inizio degli anni ’60, la Prinz 4 si propose come temibile concorrente estera della onnipresente 500, che peraltro ancora stentava a segnare i record di vendita mostruosi che sarebbero arrivati solo con la versione F. Certo costava di più, ma sapete: l’italiano è sempre stato un po’ sui generis come appassionato d’auto, e talvolta bastava qualche accessorio o un paio di cromature in più per rendere assolutamente desiderabile un modello.
Se poi il modello in questione poteva vantare, assieme a cromature ed accessori, anche un bassissimo costo di gestione, ecco che l’amore piano piano divampa: la NSU Prinz 4 diventa in breve tempo l’utilitaria straniera più venduta nel Belpaese, surclassando addirittura le vendite nella Germania Ovest. Nel 1966 – 67, il grosso della produzione della fabbrica di Neckarsulm viene inviato da noi.
La Prinz in versione L, che nel frattempo aveva ricevuto un moderato restyling, in effetti non solo montava accessori che il Cinquino piemontese non avrebbe visto mai se non nei variopinti raduni recenti, ma in certi dettagli pareva un’auto di categoria decisamente superiore: basti pensare alla rotella per regolare il deflettore della porta (in “stile Giulia”), alla plancia rivestita con cassetto dotato di sportellino, all’orologio nel cruscotto, ai sedili regolabili rivestiti in stoffa.
Tanto fu apprezzata che, per contrastare un calo di interesse per la 500 F, la Fiat – che fino a quel momento aveva delegato la materia a piccoli costruttori su licenza, come Francis Lombardi) si decise di realizzare la versione “L”, che con pochi ma risolutivi tocchi riuscì ad invertire la tendenza fino a toccare il record storico nel 1970.
Nel frattempo la Prinz, che cominciava a portare il peso degli anni, nel 1973 venne eliminata dalla produzione una volta che la NSU venne assorbita dall’Audi, comprensibilmente per non dare fastidio al Maggiolino.
Una carriera onorevole e tutto sommato degna di soddisfazione: ma allora, quale il motivo della cattiva fama?
Perché gli adolescenti già nei primi anni settanta si toccavano le parti intime al passaggio di una Prinz, o se la passavano “senza ritorno”, per citare un leggendario pezzo degli Offlaga Disco Pax?
Difficile dare una spiegazione univoca e coerente. C’è da dire, però, che la Prinz, un po’ per lo stile diciamo “neoclassico”, per il prezzo d’acquisto conveniente e i costi di gestione più che ragionevoli, veniva acquistata spesso da gente un po’ in là con gli anni. Insomma, un po’ il ritratto fatto da Pistarino nel sopracitato pezzo: “alla guida un vecchio col cappello e gli occhiali spessi, al posto passeggero la moglie grassa che tiene insieme la vettura col braccio”, che per quanto fosse un’esagerazione, rappresentava una verità: difficilmente un giovane avrebbe comprato una Prinz.
Di più, difficilmente un giovane si sarebbe sentito a proprio agio alla guida di una Prinz, posto che in quel periodo gli stessi giovani italiani disprezzavano quella che sarebbe diventata un cult giovanile diversi anni dopo, la Citroen 2CV.
Sarebbe quantomeno utile ricordare che, verso la fine degli anni ’60 e per diversi anni a venire, le versioni sportive derivate dalla Prinz 1000 (una Prinz 4 allungata e dotata di un motore a quattro cilindri, riconoscibile essenzialmente per i fanali anteriori ovali e per le prese d’aria laterali), denominate TT e TTS (vi dicono qualcosa queste sigle?) furono le vetture da battere nei circuiti di tutta Europa.
Ma era roba da appassionati. Non si divulgava, non fece presa.
E così accade che, durante una mite primavera del 1975, una Prinz verde bottiglia con a bordo i coniugi Righi (lui pensionato delle Poste, lei casalinga innamorata di Mike Bongiorno), passa accanto ad un campetto di calcio ove i giovani presenti cominciano a fare gesti alquanto sconvenienti, chissà per quale motivo.
E, chissà per quale motivo, il gesto scaramantico si diffonde in poco tempo su tutto il territorio italiano…
Antonio Cabras. Sorso, 18 ottobre 2019.