la Porsche 924 nel mirino dei collezionisti?
Nella storia dell’automobile sono numerosi i casi di auto sottovalutate dalla clientela o dalla stampa specializzata.
Si tratta di auto con indubbie doti, i cui pochi difetti hanno però pesato in modo determinante sul destino commerciale.
Al di là di questi non rari casi, ce ne sono pochi, pochissimi, in cui un modello assume una reputazione non esaltante nonostante sia intrinsecamente priva di difetti.
Questo è il caso della Porsche 924. Detto chiaro e tondo: un modello che ho sempre amato, fin da quando giocavo nel lettone dei miei genitori col modellino della Majorette.
La 924 fu svelata al mondo nel 1976, anno in cui il mercato delle sportive “vere” aveva già iniziato la sua china discendente.
Proprio in quel lasso di tempo, la presentazione della Golf GTI prima e della Renault 5 Alpine poi, diede una mazzata non da poco al mercato delle coupé accessibili. L’essere nata nel periodo sbagliato si sarebbe rivelato un dettaglio determinante per le mancate glorie della baby Porsche.
Nata, si diceva, dopo lunga gestazione, per sostituire la VW-Porsche 914: auto di indubbio valore che, nonostante l’indubbio successo, dovette scontare l’eccessiva differenza di immagine fra le due Case. Il soprannome che le venne appioppato, ossia “Porsche dei poveri”, non le rendeva certo giustizia, soprattutto pensando alla fantastica dinamica di guida garantita dal motore centrale, e alle prestazioni da vera sportiva delle versioni a sei cilindri.
Quindi, la nascitura sarebbe stata, almeno nel nome, una Porsche “tour court”.
E qui arriva il secondo peccato originale della 924: il motore.
Le non eccelse condizioni finanziarie della Porsche resero necessario riutilizzare quello che già c’era “in famiglia”.
Venne così scelto un 2.0 di provenienza VW Audi, la cui potenza venne portata dai tecnici di Stoccarda alla felice cifra di 125 CV: tutto bene, anzi per nulla: si trattava di un quattro cilindri in linea (orrore!) raffreddato a liquido (orrore!!) e soprattutto montato in posizione anteriore (orrore!!!!)
E qui occorre aprire una parentesi per spiegare che, fino a qualche anno fa, il porschista era un animale strano secondo cui una Porsche non era degna di fregiarsi di tale marchio se non fosse stata munita di un boxer raffreddato ad aria montato posteriormente in una carrozzeria, dalla forma somigliante a quella di una 911.
Oltre la 911 (che in quegli anni ancora vendeva bene, ma non si trattava ancora del cult intramontabile dei giorni nostri: era, diciamolo, un po’ demodé) non esisteva altro e non doveva esistere altro. La 924 scontava il delitto di essere completamente diversa, meritando così lo scetticismo dei duri e puri.
Cosa che si sarebbe ripetuta, in maniera ancora più immeritata, con la meravigliosa e inarrivabile 928 del 1978. Almeno, in Italia.
Non fosse bastata la meccanica, anche la linea della 924 era completamente di rottura: filante, compatta, con un cofano molto lungo in rapporto all’abitacolo, un lunotto / bagagliaio a cupola per l’epoca innovativo (per quanto non una novità assoluta a livello stilistico) e gli immancabili e caratteristici fari a scomparsa.
Atmosfera moderna e razionale, di sobria sportività, che si ritrovava anche all’interno, caratterizzato dai tipici sedili con poggiatesta integrato. Nonostante fosse un modello destinato ad una platea più ampia di quella della 911, finitura e scelta di materiali non davano assolutamente adito a critiche.
Ma se proprio bisognava trovarle un difetto, ecco, forse l’insieme era troppo formale: impossibile trovare qualsivoglia bizzarria stilistica. Un approccio alla vita tipicamente tedesco, al tempo non ancora universalmente apprezzato come lo è al giorno d’oggi.
E questo era l’unico difetto, se proprio tale vogliamo considerarlo, di un’auto che aveva ottime prestazioni in rapporto alla potenza consumando pure poco (specie se dotata della quinta marcia, inizialmente a pagamento), ben frenata e con un’ottima tenuta di strada dovuta alla ripartizione ottimale dei pesi, garantita dal cambio montato al retrotreno (proprio come sulle coeve Alfetta, con la differenza che sulla Porsche non si rischiava la grattata se si aveva l’assurda pretesa di passare dalla 3a alla 2a). Il tutto, dannatamente ben costruito ed assemblato.
La prima 924 fu solo il primo passo di una continua ricerca di potenza e di stile: la versione turbocompressa, uscita sul finire del ’79, sfiorava i 230 km/h, mentre i tecnici di Stoccarda, convinti della bontà del progetto e ben risoluti a valorizzarlo, modificano la linea quel tanto che basta per renderla mozzafiato ed estirpano il motore Audi sostituendolo con un inedito e magnifico 4 cilindri 2.5 completamente made in Porsche.
La 944, come venne chiamata, non sostituì la 924, essendo concepita come una sorta di “versione perfezionata” e quindi molto più costosa: pur dotata di un motore finalmente all’altezza delle promesse della linea, scontò inevitabilmente l’evidente derivazione dalla 924. Nessuno, comunque, aveva mai nulla da eccepire dopo essere stato sorpassato sul filo dei 260 orari da una 944 Turbo, stupefacente versione di punta introdotta nel 1986.
Nel frattempo, anche la 924 aveva rinunciato al funesto motore Audi in luogo del quattro cilindri Porsche, ma fu una modifica fuori tempo massimo. La modernità del progetto era ancora tale che, opportunamente restilizzato, la cara vecchia 924 / 944 arrivò allegramente agli anni 90 sotto falso nome “968”, che qualcuno denigrò come ibrido stilistico fra la 944 e la 928, soprattutto per via dei fanali anteriori. Insomma, ennesimo ottimo modello terribilmente sottovalutato. Un flop, senza se e senza ma.
Alla fine della fiera, rimane lei, la 924 originaria. Forse il problema era il motore “bastardo”, cosa che oggi fa sorridere se si pensa che la maggior parte delle Mercedes Classe A vendute oggi monta un diesel di provenienza Renault Dacia, e a nessuno pare importare.
O forse, il problema era la linea “diversa”,e anche questo fa sorridere, pensando al best seller Cayenne.
Sorge un terribile dubbio.
Che la 924 sia nata semplicemente troppo presto. Di decenni.
Antonio Cabras. Sorso, 14 ottobre 2019.