delta: l’auto che ricompreresti ogni giorno.
Quando il boss di SuperPista mi ha detto: “Anto bisogna fare qualcosa di bello per il quarantesimo della Delta”, mi sono avvicinato al foglio con la circospezione e la cura che si deve alle cose delicate e pericolose.
Soprattutto negli ultimi anni, la Delta (per meglio dire, la “Deltona”, o per meglio ulteriormente dire, la Delta Integrale Evo) è stata oggetto di un febbrile interesse, soprattutto nei social media, che è coinciso con un vertiginoso rialzo delle quotazioni.
In rete, tutti parlano della Delta – il fatto è proprio questo: in rete TUTTI parlano – anche e soprattutto chi non ne ha mai vista mezza dal vivo. Poveri cari.
In genere, chi venera “Il Deltone”, o “La Regina” come viene appellata dai fanZ più accaniti, tende ad ignorare tutto quel lasso di storia che parte dal 1979, e che vide la nascita di una due volumi elegante, compatta, sportiva, ben rifinita e modernissima, e arriva fino al 1992, anno in cui la strafamosa e plirivincente HF Integrale 16V, per tenere testa nei rallyes a concorrenti ben più giovani, incontra il suo ultimo e ipertrofico step evolutivo.
È per questo che, nel disegno, la Delta del 1979 occupa la posizione centrale.
È difficile oggi spiegare cosa rappresentò all’epoca, sul mercato del tempo, quell’insieme di linee tese e severe, quella fiancata che era un inno al trapezio, quei paraurti in tinta (brevettati) che anticipavano le future tendenze.
Nonostante il pianale derivasse, come ovvio, dalla Fiat Ritmo (e così buona parte della meccanica), era impossibile trovare qualsivoglia parentela fiattara nella compatta di Chivasso, che faceva di tutto – riuscendoci! – per offrire qualcosa di completamente diverso.
Finiture e materiali mai visti prima in quella classe, dotazione di accessori completa, una plancia che era un capolavoro di architettura moderna (ma quanto era complicato regolare la climatizzazione!) spettacolare soprattutto di notte, quando i comandi tutti rigorosamente illuminati e la strumentazione completissima (come da vecchia tradizione Lancia) davano origine ad uno spettacolo unico.
Alcuni particolari parevano quasi eccessivi per la classe, come le plafoniere (anch’esse di forma trapezoidale) per i posti dietro, il cielo rivestito dello stesso panno dei sedili, o il grado di finitura dei pannelli porta.
La Delta era in tutto e per tutto una piccola ammiraglia che nulla aveva a che fare con la Ritmo, rispetto alla quale era in ogni caso meno spaziosa dentro, aveva meno bagagliaio, e costava sensibilmente di più.
Andava anche più forte, grazie alla “cura Chivasso” a cui vennero sottoposti i propulsori Fiat. Il piacere di guida era inoltre suggellato da una sospensione di disegno particolarmente raffinato.
Ecco perché chi dice “la Delta è una Ritmo in abito da sera” dice sostanzialmente una scemenza.
I giornalisti se ne innamorano e diventa auto dell’anno 1980, anno in cui ancora quel titolo significava qualcosa.
Da lì in poi, la Delta si affina, e comincia una continua ricerca alle prestazioni. Prima con la GT 1600 del 1983, già ai vertici prestazionali della sua categoria grazie ai suoi 105 CV, poi con la versione turbocompressa dell’anno successivo, dalla potenza record (130 CV) per la classe di appartenenza, la prima a riportare in auge la gloriosa sigla HF.
C’è da dire, con una punta di nostalgia canaglia, che le Delta sportive si riconoscevano per pochi particolari estetici (uno spoilerino, veramente piccolo, per la GT; a cui la HF aggiungeva due armoniose minigonne): una filosofia improntata alla sportività discreta in enorme controtendenza rispetto all’epoca, in cui la sportività – soprattutto quando comportava l’aggiunta di un turbocompressore – veniva strombazzata in ogni lato della carrozzeria. E invece la prima HF Turbo quasi si vergognava della turbante presenza, e si limitava ad una piccola scritta nella parte posteriore delle minigonne laterali.
Una sobrietà che non sarà certo caratteristica peculiare delle successive Delta sportive.
Che il fuoco covasse sotto la cenere fu dimostrato dal prototipo “Turbo 4×4” presentato nel 1983. Ma al tempo i rallyes erano dominio delle Gruppo B, le spettacolari – e letali – ipertecnologiche vetture composte di vetroresina, kevlar e carbonio. Uno degli esempi più eclatanti ed eccitanti portava proprio il nome Delta, anche se col modello di serie non aveva in comune che il solo nome.
Un mostro a trazione integrale permanente ed un rivoluzionario motore centrale, sviluppato dall’Abarth, ancora famoso per il suo inedito e unico sistema di doppia sovralimentazione mista.
Quello che nessuno poteva prevedere è che fu grazie alla dismissione della S4, dovuta alla messa al bando delle Gruppo B, che la Delta – ormai in declino sul mercato e perciò lievemente restilizzata – incontrò una vera e propria rinascita. A sorpresa ma nemmeno tanto, la Lancia sostituisce fulmineamente la S4 con la Delta HF 4WD, versione integrale e vitaminizzata (il 1.6 lasciava il posto ad un due litri) della HF Turbo, che nonostante avesse ancora le fiancate piatte come un biliardo, ha già i caratteri fondamentali della futura Integrale, compreso il riuscitissimo muso con quattro fanali tondi e i bellissimi interni con strumentazione a otto elementi.
La 4WD dura giusto il tempo per stravincere il suo primo mondiale prima di lasciare il posto, l’anno successivo, alla prima Integrale, i cui fianchi generosamente allargati erano stati resi necessari da ovvie esigenze agonistiche.
Altro mondiale vinto, altro upgrade meccanico, con la nascita della Integrale 16V, che stavolta non gonfia i fianchi ma il cofano, vistosamente bugnato per consentire l’alloggiamento della testata plurivalvole.
Nel frattempo, la Delta “normale” ha un mercato tutto suo. Alla clientela basta una 1300 LX per sentirsi in gara, senza nemmeno bisogno di spremere la meccanica. I più giovani, sognando l’inarrivabile Integrale, se sono fortunati riescono a mettere le mani sulla sorellina HF Turbo, difficilmente resistendo alla tentazione di modificarla anche esteticamente.
Passata la boa degli anni ’90, la Delta rimane sul mercato sull’onda dei trionfi agonistici, tanto da rimandare la produzione della seconda generazione (che oggi in tanti spregiativamente chiamano “Deltasud” per la sua coda dalle vaghe reminescenze pomiglianesche). Quando la sostituzione diventa improrogabile (nel 1993 ormai la Delta ha 14 anni), l’Integrale ultima serie (ormai più larga che lunga, e prossima ai 200 cavalli) continua ancora per un anno la sua produzione dando vita ad una ridda di serie limitatissime ed esclusive oggi contese dagli appassionati a suon di rialzi a sei cifre.
A me, che ho visto la luce lo stesso anno del titolo “Auto dell’anno”, una doverosa nostalgia non solo per l’epopea agonistica, che pure ho fatto in tempo a vedere e vivere di persona (e per questo ringrazio il cielo), ma anche – e soprattutto – per un fantastico esempio di design industriale. Un concetto di due volumi in cui eleganza e sportività si fondevano in modo tanto armonioso che nessuno più è riuscito, a mio avviso, a replicarne la formula (e non dite “Audi A3” perché mi incazzo).
Un’auto che oggi comprerei. E che un domani, forse, comprerò.
Antonio Cabras. Sorso, 11 ottobre 2019.